Da bambino Lewis Hamilton aveva due sogni: essere Superman o essere Ayrton Senna. Era un ragazzino timido, a scuola faticava a trovare il proprio posto, bloccato da un problema di dislessia diagnosticato tardi, insicuro e isolato. Mancava spesso alle lezioni, impegnato nei tanti weekend di gara sui kart, e gli insegnanti al suo ritorno a scuola non facevano che demotivarlo, spiegandogli quanto complesso fosse il viaggio verso la Formula 1, soprattutto per “uno come lui”. Un bambino nero, proveniente da una famiglia umile, senza agganci e conoscenze nel motorsport. La probabilità di successo era una su un milione, forse meno. Eppure Lewis ha sempre saputo sognare. Suo padre è arrivato ad avere tre impieghi contemporaneamente per poter dare al figlio le occasioni giuste per farlo emergere, insegnandogli la disciplina e il duro lavoro, spiegandogli che il talento da solo, per quanto brillante e unico possa essere, non basta mai. Serve, per stupire in un ambiente in cui la prima impressione conta più di tutto, ma sulla lunga distanza ciò che premia davvero è la capacità di resistere davanti a ogni sfida.
Lo sapeva bene Ayrton Senna che quella “magia” del suo soprannome, quella che in pista sembrava permettergli di fare ogni cosa, l’ha sempre trovata dentro l’allenamento e la conoscenza. Nei pomeriggi passati a guardare il cielo di San Paolo in attesa della pioggia per potersi preparare sui kart, per migliorare la guida sul bagnato che, da bambino, era il suo punto debole. Una caratteristica esasperata diventata, grazie al duro lavoro, la sua più grande capacità. Uno dei segreti più estremi e straordinari del suo successo. Ed è sempre la pioggia che viene a bussare quando si parla di Senna, di Brasile, di conti ancora da chiudere. La pioggia di un weekend che non dà tregua ai protagonisti, che non perdona sbavature e incertezze. La pioggia che ha rimandato l’esibizione di Lewis Hamilton, chiamato questo fine settimana a provare in pista la McLaren del suo più grande mito tra le curve della sua pista di casa. I giri d’onore del sabato, annullati a causa del maltempo, sono così stati rinviati a domenica anche se le speranze di vedere Lewis in pista sembravano poche.
Ma non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo, Lewis Hamilton. La sua esibizione doveva essere una sorpresa per tutti: la tuta bianca, il casco identico a quello di Senna, la sua leggendaria McLaren. Dentro, alla guida, il pilota più vincente della storia della Formula 1. Poi una fuga di notizie ha rovinato la sorpresa ai tifosi ma la magia del momento è rimasta, superando tutti gli imprevisti. Sopra la pioggia, sopra il brutto risultato del pilota in qualifica, le difficoltà del weekend, il caos di un programma modificato e rimandato. Sopra ogni aspettativa, come quando era solo un bambino. C’è quel Lewis sotto la pioggia di Interlagos alla guida della McLaren del suo idolo. Il ragazzino che sapeva sognare in grande guardando Ayrton Senna correre e vincere, vivere e morire per la sua passione. C’è l’Hamilton che in Brasile vinse il suo primo titolo in Formula 1, quello dello straordinario successo nel 2021, lo stesso che ogni anno torna sapendo di poter fare qualcosa di più grande, credendo sempre in quel talento costruito sul duro lavoro. L’Hamilton che nel 2022 ha ricevuto la cittadinanza brasiliana, dedicando proprio a Senna l’onorificenza. Brasiliano nel cuore, vicino a un popolo lontano dal suo, capace di diventare idolo di casa, eroe nazionale, uomo e pilota a cui rendere omaggio.
Non poteva che essere lui alla guida della McLaren di Senna nel weekend di Interlagos a 30 anni dalla morte di Ayrton. Eppure, in una storia che sembra scritta per essere raccontata così, ogni dettaglio è un'emozione che parte da lontano. Il pubblico sugli spalti che vede sfrecciare la monoposto numero 27 sulla pista bagnata che grida il nome di Senna, intonando cori infiniti. La bandiera brasiliana che sventola nelle mani di Lewis proprio come Ayrton dopo il suo primo, sofferto, successo a Interlagos. "Uno dei momenti migliori della mia vita e della mia carriera" dice Hamilton, con gli occhi pieni di lacrime davanti a un sogno realizzato così grande da non sembrare reale.
Voleva essere come Superman o come Ayrton Senna, il piccolo Lewis. Bambino fuori posto e fuori dal coro. Giovane talento pronto a dimostrare il doppio per avere la metà. All'alba dei suoi 40 anni pronto a debuttare in Ferrari per l'ennesima grande sfida della sua carriera, onorato con il rispetto di un popolo, della famiglia Senna e del mondo intero del motorsport. Unico, tra le curve di un paese che per lui è la terra "dove si realizzano i sogni". Anche nei weekend storti, un po' Superman e un po' Ayrton Senna. Sempre e comunque, Lewis Hamilton.