Liberty Media ha preso il controllo della MotoGP per poco più di quattro miliardi: non l’affare del secolo considerando i debiti, le criticità del campionato e il periodo storico. Se questa operazione è stata portata a termine, tuttavia, è perché l’intenzione (e quindi la possibilità) è quella di triplicare il valore del campionato nel giro di una dozzina d’anni.
Gli integralisti sono preoccupati dal cambiamento: a sentire loro pare che Liberty trasformerà la MotoGP in un circo - esattamente come ha fatto con la Formula 1, dicono - perché questo è l’unico genere di intrattenimento concepito dagli americani, un popolo che si ingozza di hot-dog e litri di birra mentre l’evento sportivo passa in secondo piano rispetto a un contorno fatto di gossip, dichiarazioni rimaneggiate e retroscena pruriginosi. Poca sostanza, tanta apparenza.
È innegabile però che in tutta questa roba ci siano dei lati positivi. Il primo è che un campionato che vale il triplo rispetto a quello che vediamo adesso è un campionato più spettacolare, ha una miglior copertura mediatica, variabili diverse, più opportunità per chi lo segue e per chi lo racconta. Per quanto Carmelo Ezpeleta si sia affrettato a spiegare che lui rimarrà il carica anche in futuro, la sensazione è che le cose, nel paddock della MotoGP, cambieranno in fretta.
Di spazio di manovra Liberty Media ne ha molto, anche perché la passione degli americani per le corse in moto c’è, è solo dormiente. Basti pensare che l’albo d’oro del motomondiale conta più piloti statunitensi che spagnoli, o che le gare in moto sono (con turni in pista di circa 45 minuti) tra gli eventi sportivi più brevi e quindi godibili da un pubblico tipicamente distratto da qualsiasi cosa. E poi ci sono loro, i piloti, a partire da quel Pedro Acosta che con tutte le probabilità farà cose mai viste prima negli anni a venire. La base, insomma, è buona, ma non solo: c’è un mondo di possibilità, che per inciso sono molte più di quelle che aveva da offrire una Formula 1 più tecnica e meno diretta di una MotoGP tutto cuore.
E poi rendere il campionato più spettacolare non significa soltanto fare più eventi in America e produrre una serie TV per Netflix. Vuol dire anche dare alla MotoGP un pubblico più ampio con, nella pratica, una ricerca attenta alla costruzione dei personaggi. Ecco quindi che Andrea Iannone diventa l’esempio perfetto di come Liberty Media potrebbe spingere sulla MotoGP: un talento esagerato per la guida in moto, una storia di rinascita, una scarica di fidanzate da red carpet e nessuna diplomazia nelle dichiarazioni una volta tolto il casco. Praticamente un sogno. È troppo vecchio? A giudicare dai risultati ottenuti in Superbike dopo quattro anni di pausa sembra di no, mentre in MotoGP corre un Aleix Espargarò che ha la sua stessa età (classe ’89) e Valentino Rossi ha spiegato a tutti nel 2015 che si può correre per un mondiale anche dopo i 35 anni. E poi premiare lo spettacolo significa proprio questo: dare risalto a un pilota più spendibile, interessante e mediatico rispetto alla media.
A volerlo, non è un mistero, ci sarebbe Paolo Campinoti, patron del Team Prima Pramac, che non solo ha un ottimo rapporto con Iannone, ha anche due piloti in scadenza a fine anno. Tutto sommato però uno così, come Andrea, potrebbe davvero andare bene ovunque e in qualche modo segnare il nuovo corso di un motomondiale fatto di sportellate e manetta in pista e storie attorno. Poi certo, ci sarà anche il drama, indispensabile base di ogni storia che funziona.
Ma questo è esattamente quello che vogliamo dalla MotoGP.