I motivi, il decisore e le prospettive sportive sono cosa altra, ci sarebbe da scriverci un libro, ma la notizia è una: Gianmarco Pozzecco è il nuovo commissario tecnico della Nazionale italiana di pallacanestro. Boom, anzi Clamoroso, a proposito di libri, perché è il titolo della sua autobiografia, godibile perché Pozzecco è un folle gaudente, un passionale travolgente, un personaggio solare e schietto di quelli che piacciono anche per contrasto, perché circondati dall’ordinario. Tutto, insomma, fuorché quello che ci si potrebbe attendere dall’immagine di un ct azzurro, eppure è proprio per questo che - fatti salvi i più che legittimi dubbi su modi e tempi della scelta e l’empatia per il predecessore silurato, Romeo Sacchetti, signorile anche nell’addio - Pozzecco sulla panchina dell’Italbasket è una scelta strepitosa, perché non si può non tifare per lui. A prescindere.
Ci mancava, il Poz. Il ruolo di assistente di Messina a Milano e l’incarico di allenatore della Nazionale sperimentale ne avevano narcotizzato la visibilità mediatica, quella garantita quando si deve parlare sempre e che Pozzecco non ha mai sprecato cadendo nell’irrilevanza di chi segue l’etichetta. Lui no: genuino, triviale, incazzoso, istrionico, ispiratore a seconda dell’abito. Indecifrabile, contraddittorio, senza filtri, dotato di un ego e di una personalità enorme che lo hanno dotato di un carisma evidente, è un estroso, un esuberante, un immarcabile e tutto questo onanistico florilegio di aggettivi serve a celare quanto sia difficilmente definibile. Semplicemente: Pozzecco - da allenatore com’era da giocatore va vissuto nell’esaltazione e nelle paturnie, nelle opere e nelle omissioni, in quello che dirà perché ci farà divertire comunque vada, e almeno apparentemente nell’Italia dei parrucconi non c’è nulla di più disfunzionale. Niente male, soprattutto se a ciò si aggiunge che gli Europei di settembre sono a un passo e la Fip lo sta mettendo nella situazione peggiore per prodromi e paralipomeni, ma chissenefrega: le cose semplici non sono affare da Pozzecco, e qui del resto non ha senso azzardare alcun discorso tecnico perché in fondo nemmeno lo ha fatto la federazione, e allora di cosa stiamo parlando.
Stiamo parlando di un fenomeno, sul campo e a parole (da un’intervista di oltre vent’anni fa, ma forgiata nel piombo della stampa e degli aforismi pozzecchiani: “Sono un pagliaccio, ma sono il numero uno dei pagliacci”), play perché il gioco lo fa e lo dirige, genio e sregolatezza si direbbe, se non fosse che la regolatezza è un’idiozia borghese e che quelli diligenti partono per scalare le montagne e poi si fermano al primo ristorante e non ci pensano più, e questa la prendiamo in prestito da Brunori Sas. Gli irregolari no: s’inchinano al pubblico Usa perché l’hanno battuto, si strappano le camicie in panchina come dei complottisti ossessi, vivono il momento come fosse la cosa più importante del mondo, si prendono gioco delle liturgie del gioco ma mai della sua essenza, alimentano la sezione gossip dei rotocalchi e ci ridono su, non si omologano. Dividono? Sì, e ‘sti cazzi.
Sin qui Pozzecco, poi però per concludere e non tenersi buoni quelli che contano vale la pena tornare all’inizio della storia, quella che sinora abbiamo saltato perché il Poz è il Poz, però il protagonista di questa vicenda è anche un altro ed è il presidente eterno della pallacanestro italiana, Gianni Petrucci che ha cacciato Sacchetti con motivazioni in fondo risibili. Anni 77 il prossimo luglio, romano di una romanità infarcita di eccellenti amicizie e buone frequentazioni, dal 1992 presidente della Fip (di cui era stato pure segretario generale dal 1977 al 1985) con un’interruzione solo tra il 1999 e il 2013 ma solo perché, bontà sua, era presidente del Coni, di tutto lo sport azzurro insomma. Uomo di sport perennemente in blazer e mai in tuta; cavaliere, commendatore, decorato di collare e stella d’oro al merito sportivo, già commissario straordinario della Figc tra Nizzola e Carraro - a proposito di poltronissimi - e pure, per un mandato, sindaco di San Felice Circeo, più tutta una serie di incarichi di rilievo tra federazioni, associazioni e società (Figc, Aia, Roma) che sarebbero l’apice per qualcuno ma per lui rappresentano appena tappe nemmeno troppo significative nel cursus honorum.
Petrucci, si diceva, monarca con piglio decisionista che così ha giustificato il siluramento del ct: “Nelle ultime settimane il rapporto si era deteriorato. Il rapporto di un coach è diretto con il presidente”; e insomma, Romeo, se non hai più il presidente eterno dalla tua parte, scegli la parte del corpo che vuoi ma fai ciao ciao. Eppure mancano appena tre mesi (cioè l’estate) all’Europeo, e Sacchetti viene defenestrato nonostante abbia ridato orgoglio, partecipazione olimpica e risultati a una Nazionale alla quale nessuno credeva - e che qualcuno, si pensi al preolimpico di un anno fa, sostanzialmente snobbava - e comunque, sebbene l’incompatibilità fosse ormai evidente e l’addio fosse scontato, la data di scadenza era al termine degli Europei. Ma il rischio (per Petrucci) era che la Nazionale di Sacchetti facesse anche lì bella figura. Un rischio da evitare, hai visto mai che poi tocchi tenere a furor di popolo uno che non dice sempre sì e, a proposito: in bocca al lupo Poz, perché con l’immagine federale c’entri pochissimo, e allora prova a svecchiarla restando clamoroso e restando anarchico. Facci godere!