Il Mugello va oltre il circuito. Nelle intenzioni, perché è una Woodstock con le moto sullo sfondo, ma anche nella tecnica, perché le curve (per citare Giò Ponti) le ha disegnate per metà Iddio. Il Mugello va preso come la chianina che c’è intorno: al sangue, scottante, abbinato col rosso. È la pista di cui un qualunque appassionato ricorda almeno un paio di curve. San Donato, di sicuro. Dove le moto arrivano ad oltre 360 Km/h dopo aver scollinato con l’anteriore che si solleva. O la Casanova - Savelli, dove provano a passare quelli bravi. Anche le Arrabbiate, in cui gli scout della VR46 Academy vanno a vedere i piloti, perché se fai meglio di tutti gli altri quelle due curve ci sono ottime possibilità che tu abbia del talento.
Il Mugello è Giò di Pillo che urla buongiorno, che racconta le corse a chi è lì da tre giorni con il mal di stomaco e gli occhi pesti. È la Ducati che negli ultimi anni ci ha dominato, ma anche Valentino che ci ha vinto nove volte. È gente che ci arriva in moto, in camper, in scooter, in apecar. Con le motoseghe senza catena e un imbuto metallico saldato allo scarico per fare casino.
Il circuito è della Ferrari, l’anno scorso la Formula 1 ci ha corso una delle gare più folli della storia recente. Gara interrotta più volte, tre partenze, vittoria di Hamilton. Ecco, non tornateci più. Perché le monoposto fanno le buche in frenata e si finirà per riassaltare il tracciato ed appianare il rettilineo. O si deciderà di ampliare ulteriormente la pista con un altro metro d’asfalto, perché se le macchine mettono fuori una ruota si deve fermare tutto. Ma il Mugello a noi piace così, crudo e rabbioso. Stretto, da pelo, da pazzi. Velocissimo. Le Arrabbiate non si possono addolcire, le Biondetti hanno fin troppa pista sull’altro lato del cordolo. Portatela altrove la Formula 1, lasciate il Mugello alle moto, almeno nella massima serie. Perché la Formula 1 sposta le montagne e quelle del Barberino è meglio che restino dove sono.