Vent’anni fa, era il 2002, in pochi mesi il Senegal fu al centro delle cronache internazionali per due eventi di segno opposto. La gioia e l’orgoglio, prima, quando in giugno la nazionale al debutto in un Mondiale, quello di Giappone e Corea del Sud, riuscì non solo a superare il proprio girone (un successo contro la Francia e pareggi con Danimarca e Uruguay), ma addirittura a spingersi sino ai quarti dopo avere battuto la Svezia ed essersi arresa solamente a un golden gol – perché sì, ai Mondiali in passato c’è stata anche la regola più infantile di tutti: chi fa gol, vince – della Turchia. Capitano di quella squadra era Aliou Cissé, allora 26enne difensore del Montpellier. Poi, il 26 settembre, fu il momento della tragedia e del lutto quando il Joola, un traghetto statale che faceva la spola tra Dakar e Ziguinchor, affondò al largo delle coste del Gambia: a fronte di appena 64 sopravvissuti, furono oltre 1800 i morti. Tra questi, undici membri della famiglia di Aliou Cissé – nativo proprio di Ziguinchor – tra zii, cugini, nipoti.
Oggi, a 46 anni, Aliou Cissé è al secondo Mondiale consecutivo sulla panchina del Senegal, venerdì ha ottenuto la prima vittoria della sua nazionale nel torneo contro i padroni di casa del Qatar, e in bacheca, sempre come allenatore dei Leoni della Teranga, ha una finale (2019) e un trionfo in Coppa d’Africa, quello del 2021, il primo e unico del Senegal. Appare persino superfluo sottolineare come, per diversi motivi, la sua figura in patria abbia qualcosa di mistico: s’interseca con la storia del Senegal, perché la sua è la vicenda di emigrazione e ritorno – i genitori emigrarono in Francia e lui crebbe a Ziguinchor con il resto della famiglia, per poi ricongiungersi con mamma e papà e lì iniziare un percorso calcistico che lo ha portato anche al Paris Saint-Germain prima della grandeur e in Inghilterra – e vive, da lontano ma da vicino, un momento tragico cruciale, per poi tornare a regalare il sorriso attraverso il potere del calcio che, soprattutto quando si parla di Mondiali e di grandi tornei continentali, è elemento centrale della vita associativa di (quasi) tutti.
Cissé è selezionatore della nazionale dal 2015 ed è diventato in qualche modo un esempio: si deve anche ai suoi modi e ai suoi successi se le federazioni calcistiche africane hanno capito che possono affidarsi serenamente a tecnici autoctoni (e in questo Mondiale lo hanno fatto tutte e quattro le qualificate), e del resto oltre al carisma e alle capacità tattiche e di gestione può contare anche su un altro punto che lo rende immediatamente riconoscibile: l’aspetto. Rispetto a quando giocava i dreadlock sono molto più lunghi e il pizzetto non è più solo sfumato. L’associazione è facile e riporta a Bob Marley, che è peraltro una sua fonte di ispirazione (lo raccontò egli stesso in un’intervista a Canal+ alcuni anni fa) ed è il nomignolo che gli affibbiò Sadio Mané in una story su Instagram dopo la già citata vittoria in Coppa d’Africa contro l’Egitto. ma c'è anche chi lo ha accostato a un famoso rapper americano: "Perché è SnoopDogg il coach del Senegal?" è uno dei tweet diventati virali in queste ore.
In fondo è una prerogativa del Senegal quella di arrivare ai Mondiali con allenatori inconfondibili: prima di Cissé (a Russia 2018 divenne iconica una sua esultanza dopo la vittoria con la Polonia), c’era riuscito Bruno Metsu, tecnico francese dall’aspetto vagamente attoriale e piuttosto eccentrico, uomo certo amatissimo a quelle latitudini e che è sepolto nei pressi di Dakar, in quel Senegal che ha amato, ricambiato, proprio ai tempi di Cissé capitano di quei Mondiali mitici e di una Coppa d’Africa di pochi mesi prima nella quale la nazionale, alla sua prima finale, perse contro il Camerun ai rigori. L’ultimo lo sbagliò proprio Aliou Cissé. Ma non se è ne è fatto troppo un problema. Non sono questi i problemi.