Un cartellino giallo spegne la fascia arcobaleno e svela una parte delle ipocrisie su Qatar 2022. Si sarà anche sentito gay, il presidente della Fifa Infantino, ma evidentemente sapeva che non si sarebbero sentiti tali i presidenti delle federazioni di Belgio, Danimarca, Galles, Germania, Inghilterra, Paesi Bassi e Svizzera, i cui capitani avrebbero dovuto indossare la fascia arcobaleno a sostegno della campagna “One love”, salvo poi venire bloccati dai rispettivi vertici federali. Il motivo? Il rischio che i giocatori venissero ammoniti per inosservanza delle regole sulle divise da gioco, e allora diciamolo brutalmente: una campagna pro-diritti non vale un giallo, così Harry Kane ha indossato la fascia scelta dalla Fifa con un insignificante “no discrimination”, che va bene con tutto, e ciò che vale per tutto non vale niente. Di che libertà si parla se non si ha la libertà di indossare una fascia del genere per non scandalizzare chi paga? La fascia se l'è invece messa la giornalista della Bbc Alex Scott, calciatrice pure lei, ma ex.
Più che ad Amici miei, le retromarce delle nazionali occidentali spinte dalla Fifa riportano a Compagni di scuola: “Ma come? Famo er pokerino, famo er pokerino e poi co’ tre ganci te cachi sotto?”, e se non fosse che in queste righe vince il cazzeggio prematurato, in filigrana si potrebbe leggere dal punto di vista civile anche la differenza tra le chiacchiere dei privilegiati e la sostanza di chi i problemi li tocca con mano, tra il fegato di chi ha una condizione da migliorare e mette in gioco il proprio quieto vivere e l’inanità di chi ha tutto e, se sa di potere perdere qualcosa, si nasconde. Certo il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare: la letteratura di quasi duecento anni fa serve a rendersi conto che non abbiamo capito niente.
Ecco, qui è giusto allora andare a vedere cosa è accaduto in Inghilterra-Iran, ma non a livello di gioco. In quest’ultimo senso non c’è stata partita per l’Iran di Queiroz, ma per tutto ciò che si è visto a margine non c’è stata partita per le blande ipocrisie occidentali. Già, perché al cospetto di chi si è genuflesso alla minaccia di un cartellino giallo, chi aveva davvero qualcosa da perdere, gli iraniani, ha dato una lezione di dignità e coraggio a tutta la platea woke impaurita dal tengo famiglia: i giocatori non hanno cantato l’inno, i tifosi iraniani presenti allo stadio hanno fischiato (e qui le ricostruzioni divergono: hanno fischiato i giocatori o l’inno?), hanno innalzato striscioni e cartelli di protesta e cantato anche il nome di Mahsa Amini, la 22enne di origine curda arrestata a settembre per la mancata osservanza dell’obbligo di indossare in modo corretto il velo e in seguito deceduta in carcere. Come si nota anche dal video di Al Jazeera, chi protesta lo fa a volto scoperto, a proprio rischio e pericolo, e non si tratta certo di star milionarie e, proprio per questo, in qualche modo protette.
Intanto chi è in Qatar dovrebbe indagare su un fenomeno strepitoso, ancorché di nessun peso specifico: la moltiplicazione degli spettatori negli stadi. Farlo coi pani e i pesci è troppo semplice, basta avere i soldi in fondo, ma con le persone è un colpaccio: così, nel giorno della prima gara, i dati ufficiali diffusi allo stadio Al Bayt di al-Khor raccontavano di 67.362 presenti e, nonostante si potessero vedere alcuni vuoti, il miracolo si palesava nell’andare a verificare la capienza ufficiale dell’impianto: 60 mila posti. Ieri poi, come ha rilevato FourFourTwo, la situazione si è ripetuta all’Al Thumama stadium: sebbene anche lì le immagini mostrassero tribune tutt’altro che piene per Olanda-Senegal, la nota ufficiale parlava di 41.721 spettatori a gremire i 40 mila posti di capienza. Cos’è il genio? Fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione, quindi magari è inserire nel computo anche figuranti, inservienti e forze di pubblica sicurezza, chissà, perché i dati sono farseschi, ma nessuno si è posto la domanda. E di farsa in farsa questi Mondiali stanno diventando anche parecchio divertenti.