Magari ha voluto citare l’Ich bin ein Berliner di John Fitzgerald Kennedy, ma Gianni Infantino, nella conferenza stampa alla vigilia dell’apertura di Qatar 2022, è parso più una sorta di conte Raffaello Mascetti, perché il suo show al cospetto dei giornalisti è stato una supercazzola con scappellamento a est, zona Golfo. Insomma: come fosse al-Thani.
Peccato solo che non scherzasse. Infantino ha detto di sentirsi qatariota, africano, arabo, gay, disabile, lavoratore migrante: “Today I feel qatari, today I feel arab, today I feel african, today I feel gay, today I feel disabled, today I feel immigrant worker”, questo l’esordio, con un uso studiato delle pause e degli sguardi posati a destra e a manca sui giornalisti. D’impatto, certamente, almeno quanto insensato, con l’inserimento in un unico calderone di tutte le fonti di polemica che hanno accompagnato gli ultimi mesi di avvicinamento al Mondiale. Come dire: ipocriti, ora basta. E l’ha pure detto: “Per quello che noi europei abbiamo fatto negli ultimi tremila anni dovremmo scusarci anche nei prossimi tremila prima di dare lezioni morali agli altri”, e se è vero che l’ipocrisia su questa Coppa del Mondo è più che un velo, avrebbe magari potuto criticare, al G20, i Paesi che importano gas naturale liquefatto dal Qatar e che hanno aumentato la percentuale di importazione dopo la guerra in Russia, per dire, o magari l’Italia che ha come principale cliente nella vendita di armi proprio il Qatar. Perché quello va bene, ma il Mondiale no, e allora avrebbe avuto un senso difendersi attaccando, cosa che non è stata capace di fare la sua filippica da terapia tapioco.
Che l’abbia pensato lui o gliel’abbiano scritto, il suo discorso ha vissuto di climax memorabili. Infantino punge e colpisce di sciabola l’Europa (“noi chiudiamo le frontiere, creiamo stranieri illegali. Quante persone perdono la vita nel tentativo di arrivare in Europa?”) poi la butta in caciara (“A causa della politica europea sull'immigrazione, dal 2015 sono morti 25.000 migranti. Perché nessuno chiede un risarcimento per questi migranti? Le loro vite non valgono lo stesso?”) e se ne esce con le lodi all’evoluzione della politica qatariota, dove “invece hanno creato condizioni legali per tutti i lavoratori stranieri che guadagnano anche dieci volte di più di quello che prendono nel loro paese d’origine”; dei filantropi, insomma. Per carità, è vero che il Qatar, a causa dell’enorme visibilità garantita dai Mondiali, ha modificato in parte la legislazione sul lavoro dei migranti, ma i numeri delle morti bianche non mentono e anche quelli sui salari dei lavoratori andrebbero analizzati su parametri differenti. Benaltrista, ipocrita a suo modo, non meno di coloro ai quali fa le pulci.
E così, colpo di scena, ecco alla sua sinistra il coming out in diretta di Bryan Swanson, direttore delle relazioni media della Fifa, funzionale al respingimento delle critiche della comunità lgbtqi+: “Sono seduto qui in una posizione privilegiata su un palcoscenico globale da uomo gay qui in Qatar. Abbiamo ricevuto assicurazioni che tutti sono i benvenuti e credo che tutti qui saranno benvenuti”, le sue parole, coraggiose senz’altro laddove l’omosessualità è un reato, ma Swanson in Qatar non è un omosessuale qualunque, è uno di quelli più uguali degli altri. Ecco allora Infantino giocarsi la carta del divieto di vendere birra negli stadi (deciso all’ultimo minuto) con un memorabile “i tifosi possono sopravvivere senza per tre ore”, che è verissimo, ma magari Budweiser, che è sponsor della Fifa e di questi Mondiali, potrebbe anche essere legittimata a pensare che la confederazione calcistica internazionale può sopravvivere anche restituendo qualche decina di milioni di dollari di sponsorizzazione, che vuoi, in fondo è un torneo che dura meno di un mese.
Il tutto mentre con la cerimonia di apertura di oggi, al netto dei rifiuti a esibirsi venuti a galla recentemente (da Dua Lipa e Rod Stewart), si inizia a creare l’epica di un luogo che già punta al turismo dei ricchi, al punto che sui social di Meta, Facebook e Instagram, Qatar Tourism - attraverso la piattaforma visitqatar - ha iniziato da un paio di giorni a sponsorizzare pesantemente in Italia le sue magnificenze, con un breve spot nel quale un Andrea Pirlo (“leggenda del calcio”) esultante su prato verde si toglie la maglia azzurra appena prima che l'inquadratura si alzi e sveli la sua corsa non in campo, ma da un pratino sintetico direttamente alla sabbia della spiaggia. “Niente calcio? Nessun problema”, è il claim, ma le operazioni simpatia bisogna essere capaci di farle senza rendere certezza quella che all’inizio è solo una sensazione: essere presi per il culo. Già, come fosse al-Thani.