La 100 chilometri dei campioni al Ranch di Valentino Rossi ormai è una cosa seria. C’è sempre poco pubblico ed è un’assenza bilanciata da un gran numero di piloti competitivi, 40 in tutto e divisi in coppie, che si trovano a guidare moto da cross riviste appositamente per un circuito unico al mondo. Il terreno è praticamente studiato in laboratorio, le curve hanno un nome, c’è la telecronaca e alla fine se sei bravo sali anche sul podio. C'è anche competizione, chiunque si taglierebbe un dito per arrivare davanti al padrone di casa. E chiaramente, quest’anno, tra gli invitati c’è anche il campione del mondo della MotoGP, tra i pochi piloti che quelle curve le conosce come il vialetto di casa. Lui, Pecco Bagnaia, che una Ducati per andare forte in fuoristrada non ce l’ha, si è presentato con una moto rossa e il numero uno sulla tabella con tanto di corona d’alloro attorno e 2022 scritto in piccolo. E, a vedere quell’immagine, abbiamo pensato tutti la stessa cosa: se c’è uno che può riportare il numero magico in MotoGP, quello è lui. Se ne era parlato con Joan Mir, che poi ha preferito tenersi il 36 e portare l’uno sulle spalle, ma per Bagnaia è diverso. Pecco ha vinto il mondiale con il 63, un titolo l’ha portato a casa col 42 e agli inizi nel mondiale ha corso con il 21, il tutto per mantenere un filo logico mentre gli altri numeri erano occupati: altra categoria, aggiungiamo 21. Non ha, Bagnaia, un numero con cui è cresciuto per tutta la carriera e che giustificherebbe la scelta di tenerlo, cosa che molti piloti fanno anche per una questione di merchandising. Se non si vede da tempo però non è solo per i risovolti economici, c'è anche la pressione di correre proclamandosi migliore degli altri - questione che, per esempio, Max Verstappen non si è mai posto - ma se sei un pilota ufficiale Ducati in MotoGP la necessità di vincere ce l’hai già sul contratto e Pecco ha già dimostrato di saper gestire l'aspettativa altrui. Anche perché il numero uno sarà pesante per chi lo porta in pista ma lo è altrettanto per chi non può farlo: per Quartararo, Bastianini e tutti gli altri può essere un piccolo fastidio. E i fastidi, in MotoGP, si pagano in centesimi.
Ad abbattere la tradizione, inutile dirlo, è stato Valentino Rossi, che tra le altre cose ha capito per primo l’importanza del numero di gara nella comunicazione. Lo stesso ha fatto più avanti Marc Marquez, mentre per arrivare ad un vincente seriale col numero 1 sul cupolino dobbiamo tornare indietro a più di vent’anni con Mick Doohan, che ha dominato dal ’94 al ‘98 sulle vecchie 500. L’unica volta che si è vista una Ducati con quella cifra lì, invece, è stato nel 2008 con Casey Stoner, che l’ha scelto di nuovo per quello che sarebbe stato l’ultimo anno della sua carriera - nonché l’ultima di un numero 1 in MotoGP - quando corse con la Honda nel 2012.
Nel mezzo c’è Jorge Lorenzo, che nel 2011 ci ha corso (con una grafica che assieme al numero ricordava le sue iniziali, JL) anche se nel 2013 e 2016 ha preferito rinunciarvi per scaramanzia, per quanto non sia più stato in grado di ripetersi. Pecco Bagnaia non è come loro, è arrivato in MotoGP come il ragazzo delle prime volte, ha fatto una strada diversa. E dopo i 50 anni di Agostini con la MV e i 15 di Stoner con la Ducati, i 25 da Mick Doohan potrebbero essere un'altra soddisfazione. Anche perché di italiani col numero uno, da quando esiste la MotoGP, non se ne sono mai visti. Caro Pecco, non vorrai mica lasciare questo primato a un altro? A pensarci bene sarebbe una grossa occasione persa.