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Ok, ma perché il Bjorn Borg degli eccessi descritto da Loredana Bertè non potrebbe esistere oggi

  • di Alice Lomolino

5 aprile 2024

Ok, ma perché il Bjorn Borg degli eccessi descritto da Loredana Bertè non potrebbe esistere oggi
Che il tennista svedese Bjorn Borg abbia avuto un passato turbolento, fatto di eccessi, è da tempo cosa nota ai più. Tuttavia, le recenti dichiarazioni di Loredana Bertè a “Belve” sull’ex marito riaccendono i riflettori sulla vita dell’ex numero uno del tennis fatta di droghe e sregolatezza, in netto contrasto con la vita di uno sportivo odierno. Ecco perché il profilo di Bjorn Borg oggi non potrebbe esistere

di Alice Lomolino

Soprannominato “Ice-borg”, Bjorn Borg ha rivoluzionato il mondo del tennis negli anni ’70, facendo rabbrividire i puristi del “serve and volley” con il suo gioco fisico e difensivo da fondo campo e quel rovescio a due mani che lo ha reso immortale nel panorama del tennis. Il look da rock star con i lunghi capelli biondissimi e l’iconica fascia erano in netta contrapposizione con un atteggiamento metodico e distaccato in campo. Gli allenamenti massacranti e il perfezionismo maniacale fruttarono al tennista svedese, divenuto un fenomeno da giovanissimo, undici Slam, posizionandolo tra i migliori di tutti i tempi. La spietatezza e l’accanimento che riservava al proprio corpo e alla propria emotività lo misero però in antitesi con l’altro fenomeno tennistico del periodo, John McEnroe, che fece di attacchi di rabbia e tocchi delicati alla pallina la sua cifra stilistica. Per i più maliziosi fu proprio quel terribile ragazzino americano a costringere Borg al ritiro a soli ventisei anni, distrutto da un confronto - con gli altri e con sé stesso - che lo svedese non sopportava più.

L’episodio fa riferimento alla finale degli US Open del 1981 persa contro l’americano, l’uomo di ghiaccio si sciolse sulla superficie del Flushing Meadows Park e non tornò mai più sé stesso, logorato da una vita di eccessi che misero in ombra - per un periodo - il grande talento tennistico dello svedese, portandolo quasi alla morte. Le recenti dichiarazioni di Loredana Bertè, ex moglie del campione svedese, durante la trasmissione “Belve”, restituiscono un Borg che in parte già conosciamo (le storie delle sue dipendeze sono ben note alla stampa) ma spinte all'eccesso di un racconto dettato dalla rabbia della ex moglie: “Era pazzo. Aveva tre pistole in casa e si divertiva a puntarmele alla tempia. Una volta premette il grilletto e mi disse che era carica. Prima gli dissi ‘ma sei scemo’ e poi gli diedi una scarica di botte. Sono rimasta perché per me il senso di pericolo era eccitante”, ha dichiarato la Bertè. La cantante ha poi continuato con l’episodio del tentato suicidio di Borg nel 1989 quando ingerì sessanta pasticche di ansiolitici e sul suo tentato suicidio nel 1991, quando era ancora sposata con il tennista svedese, descritto come “un gioco più spinto degli altri, volevo fargli capire che anche io ero capace di osare. Ci siamo spinti ogni oltre limite. Anche di fronte al dolore fisico non volevo dargliela vinta. Tra di noi era una sfida continua, era quello che mi piaceva”. La relazione tra i due si chiuse nel 1992, quando la dipendenza da cocaina e i tradimenti di Borg erano diventati ormai insostenibili per la cantante italiana: “Ad un certo punto preferiva la cocaina a me e io non lo potevo accettare. Una volta eravamo in Florida, tornata in albergo vedo che prende il telefono e chiama il room service. Chiede due bitch, very bitch. Sono arrivate due, tutte vestite di pelle, con le fruste. Lui mi ha detto che dovevamo passare a un altro livello. Io ho chiesto: ‘fare sesso con queste?’ L’ho preso, l’ho gonfiato di botte e me ne sono andata. Quando siamo tornati a Milano non l’ho fatto entrare in casa. Da quel giorno è finita”.

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Gli eccessi narrati nell’intervista raccontano di un passato sportivo ormai lontanissimo, di una vita vissuta sfiorando la tragedia. Una storia che in qualche misura ricorda quella del calciatore George Best, il numero #7 del Manchester United, che tra prodezze valse un Pallone d’Oro a ventidue anni, dipendenza da alcool e donne, ha segnato il calcio degli anni ’70. Il successo e i soldi divennero per il “poeta del gol” una vera e propria droga da cui attingevano i vizi. Come Borg conobbe la fine della sua carriera nel fiore della maturità sportiva: nel 1974, a soli ventotto anni, venne allontanato dai Red Devils dopo una serie di litigi e risse con compagni di squadra e staff. Da quel momento entrò in una spirale che lo portò ben presto al declino. Anche il mondo delle corse offre esempi non proprio virtuosi. James Hunt, noto anche come “Hunt the shunt” cioè Hunt "lo schianto" per via dei suoi numerosi incidenti, divenne noto per il suo stile di vita godereccio che gli valse la nomea di playboy amante dell’alcool e del sesso.

Mens sana in corpore sano e viceversa, si usava dire. Infatti, al giorno d’oggi sportivi simili non potrebbero esistere. E non ci riferiamo solo al gesto tecnico, alla tattica o all’evoluzione dell’attrezzatura, ma all’approccio alla competizione. Uno stile di vita come quello di Borg, fatto di contrasti, di alti e bassi difficilmente si concilia con la vita degli sportivi contemporanei. Gli atleti di oggi, infatti, per mantenersi ai massimi livelli conducono una vita quasi monacale, fatta di lunghi allenamenti e di continue rinunce. Non sono paragonabili infatti i livelli di allenamento a cui sono sottoposti gli atleti, di qualsiasi disciplina, di oggi rispetto a quelli di 40 o 50 anni fa, quando lo sport era semi-professionistico anche ai livelli più alti. Inoltre, i controlli imposti dalle federazioni e i ritmi serrati che separano un torneo dall’altro riducono al minimo ogni possibilità di “sgarro”. Devono fare i conti anche con la pressione psicologica imposta dalla miriade di allenatori e scommettitori che abitano i social, sempre pronti a redarguirti ad ogni minimo errore e maledirti tutto l’albero genealogico. Matteo Berrettini, ultimo tra gli sportivi più attaccati mediaticamente, è stato massacrato per la sua vita mondana lontana dai campi di tennis nel periodo più difficile della sua carriera.

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Le dichiarazioni di Jannik Sinner dopo le vittorie dei Master 1000 e dell’Australian Open sono a tutti gli effetti il manifesto di questo nuovo modo di gareggiare che prevede un’attenzione quasi maniacale alla cura del corpo, oltre che della mente. Emblematica in tal senso è stata anche la rinuncia all’ottavo di finale del Master 1000 di Bercy perché avrebbe avuto a disposizione meno di quindici ore per riposare prima di scendere in campo. Il numero uno del tennis italiano ha più volte raccontato di una vita condotta con normalità e dedizione: un’alimentazione sana ed equilibrata priva di molti cibi processati, ore passate in palestra per abituare il fisico alle fatiche di un match che può durare anche per ore sotto il sole, l’importanza dell’aspetto psicologico dello sport e del duro lavoro che c’è da fare anche da quel punto di vista per poter migliorare le proprie prestazioni. L’altoatesino non ha tempo per festeggiare i propri successi perché deve allenarsi per il prossimo torneo. A feste selvagge e fiumi di champagne preferisce una cena con famiglia e amici stretti, magari preparata proprio dal papà chef. I momenti di svago? Girare per il Principato di Monaco con un’auto sportiva, gareggiare sui kart con gli amici o andare a sciare quando c’è tempo.

Il re indiscusso del lavoro maniacale su mente e corpo all’interno del circuito ATP è però senza dubbio Novak Djokovic. In un mondo in cui l’età è spesso un fattore limitante, il numero uno del tennis mondiale riesce ancora a dominare sul campo a quasi trentasette anni. Novantanove titoli in singolare, dui 23 Grandi Slam, non sono frutto del solo talento, ma soprattutto di scelte e abitudini rigorose. Nel 2010 scopre di essere celiaco dopo che dei dolori addominali avevano compromesso la sua prestazione agli Australian Open, qualche anno più tardi decide di passare a una alimentazione vegana, abbracciando uno stile di vita e non banalmente una dieta. I risultati arrivati da frullati di alghe e cene non dopo le 19:00 hanno dato ampiamente ragione al serbo. Ad aiutarlo invece nel mantenimento dell’elasticità muscolare ci sono l’Acro Yoga e l’Aerial Yoga, un mix tra yoga, appunto, pilates, danza e ginnastica ritmica che il campione pratica assieme alla moglie. A fornire la tara del reale livello di attenzione che Djokovic rivolge alla cura di sé stesso per ottenere il massimo risultato in campo sono quelle che potrebbero definirsi stravaganze. Tra il 2016 e il 2017 è infatti presente nel suo staff il guru spirituale José Imaz Ruiz con l’intento di aiutarlo ad uscire da un periodo buio dal punto di vista tennistico. Non fu molto utile allo scopo. Nole ha anche eliminato ormai da anni la cioccolata e gli zuccheri raffinati dalla sua dieta, ma pare che si sia concesso mezza tavoletta di cioccolato dopo la vittoria di Wimbledon nel 2011. L’anno scorso, invece, fecero il giro del mondo le immagini di un misterioso bottone attaccato al petto del tennista serbo, si venne poi a sapere che si trattava di una nanotecnologia volta a togliere tensione al bacino, favorendo il lavoro simmetrico degli arti inferiori.

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