Jannik Sinner a forza di racchettate a colpi di diritto, rovescio e volée sta facendo innamorare mezza (se non tutta) Italia, ma soprattutto sta macinando vittorie sui campi di mezzo mondo, anche se adesso lo aspetta “l’ostile” terra rossa. Con l’ultimo trionfo nella finale del Masters-1000 di Miami contro Grigor Dimitrov, il tennista altoatesino è salito al numero due del ranking Atp, dietro solo al mostro sacro (ma già battuto) Novak Djoković. In tutto questo fermento, che vede uno Stivale mai così appassionato alle racchette dai tempi di Adriano Panatta, La Verità, quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, accende i riflettori su chi adesso cerca di salire sul famigerato carro del vincitore, sul “vizio italiano della santificazione”, e su tutte quelle differenze che contrappongono Jannik da tutti i vecchi campioni italiani, tra cui il pluricampione mondiale di MotoGP Valentino Rossi. Il giornalista Giorgio Gandola, quindi, avverte che “il carro di Sinner è diventato un jumbo jet”, santificato dall’opinione pubblica tricolore, adesso il campione classe 2001 è stato trasformato in “un modello di rettitudine in tutto. Lo dicono gli stessi che lo insultarono al forfait in Davis”. Forse si rischia di esagerare…
Secondo Gandola si tratta della “dolce maledizione del fenomenale numero due del mondo già entrato, a 22 anni, nel paradiso della beatificazione collettiva, fra boati meritati dalle tribune e inevitabili eccessi narrativi”. Insomma, continua il giornalista, “più che alle imprese di un campione, sembra di assistere già al docufilm sul medesimo campione, passato in un inverno […] da giovane promessa a venerabile maestro”. Una narrativa che sembra nascondere un rischio, quello di “deragliare verso il limbo affollatissimo dei «soliti stronzi». Eppure noi italiani non siamo abituati a uno sportivo, anzi a un fenomeno del genere. Sono gli sportivi del passato (e non), e le loro azioni a dimostrarlo: “Noi - continua Gandola - avvezzi ai calciatori che si insultano e simulano, alle pallavoliste che s’inventano vittime del razzismo, ai ciclisti che bevono di tutto, ai piloti che si tagliano la strada, a Fabio Fognini che spacca le racchette e - conclude - a Valentino Rossi che non riesce a scendere dalla «moto-ricordo»”. Insomma, alla vista dei riccioli rossi di Sinner e delle sue vittorie nei tornei più importanti, si legge su La Verità, “ne usciamo come da un’antica pasticceria: sopraffatti dalla vaniglia”. Gandola, dunque, passa all’elenco di tutte le azioni da buon samaritano del giovane Jannik, per esempio “ripara le giovani raccattapalle dalla pioggia con l’unico gesto dell’ombrello che conosce”, poi riporta in vita i vecchi malumori riguardo il suo rifiuto di giocare la Coppa Davis, sottolinea ancora una volta la sua residenza a Monte Carlo, e l’invidia sociale che ne segue, e conclude con un consiglio. “Per quel che ci riguarda - scrive Gandola -, consigliamo a Sinner di non fidarsi della melassa. E lo aspettiamo al primo gesto dell’ombrello. Ma quello autentico. E vivaddio liberatorio”. Bello tutto, forse anche l’ultima raccomandazione un po’ da nonno che cerca di svegliare un nipote un pochino troppo timido, sicuramente simpatica. Ma il Dottore (che si è già congratulato con Sinner per la sua vittoria al torneo statunitense), con la sua "moto-ricordo", rischia davvero di essere un cattivo esempio per il giovane tennista, o il paragone con situazioni dello sport invece di sicuro negative non è un po' troppo ingeneroso per il 46 e fuori fuoco in generale?