Oggi sarebbero stati 34, come Kevin Schwantz. Marco Simoncelli non c’è più, ma a volte è come se non se ne fosse mai andato. Il Sic58 è una squadra corse formidabile, ma è anche una fondazione Onlus a Coriano, un adesivo sotto il codone di una moto. È nei caschi dei piloti e nelle bandiere ai circuiti, è il circuito stesso quando si corre a Misano. Oggi che è un giorno del cazzo, brutto come il 23 di ottobre, abbiamo voluto ricordare Marco assieme a chi gli ha voluto bene davvero, a chi si è tatuato il 58 sul petto. Paolo Beltramo ci ha parlato un po’ di lui, del Sic, della persona che è stato e di quella che sarebbe potuta diventare. Senza piangersi addosso, perché la tristezza non era cosa per Marco. Semmai sorridendo un po’ alla volta, a denti stretti, tra una maglietta di Muhammad Alì e un aereoporto sbagliato.
Ciao Paolo, sai già perché ti telefono.
“Già, oggi è il venti. Penso a lui praticamente tutti i giorni. Anche perché adesso ho un cane che si chiama Sic, col permesso del papà naturalmente. A me dieci anni non hanno cambiato molto. Il tempo un po’ guarisce, ma nel mio caso abbastanza poco”.
Non facciamo che chiederci come sarebbe adesso.
"Mi viene in mente a come sarebbe stato divertente lui con Marquez. Due aggressivi davvero, tosti. Secondo me lui avrebbe vinto quei due mondiali successivi a quando se n’è andato, perché le moto sarebbero diventate 1.000cc e lui andava più forte di Pedrosa. In quei due anni Dani si è sempre giocato il mondiale e quindi sai, mancherà sempre la contro prova, ma Marco avrebbe potuto davvero vincere. Marquez sarebbe finito da Gresini, perché in HRC al posto di Stoner ci sarebbe stato Simoncelli. Sarebbero cambiate un po’ di cose. Ma tutto questo è abbastanza relativo, a me manca lui come persona. Era un figo”.
Marco ha corso anche con Fausto, che ora non se la passa un granché bene.
“Si, mi spiace molto. Io l’ho conosciuto tanti anni fa, sono anche stato a casa sua a Imola a mangiare i tortellini di sua madre… è diventato Team Manager presto, ha avuto piloti come Barros... Fausto dà da lavorare a 40 persone, ha tanta passione e si emoziona quando i suoi piloti vanno forte, e allo stesso modo si incazza quando vanno male. Ha aiutato Capirossi a diventare campione del mondo, ha lottato contro Cadalora… gli auguro davvero di riprendersi presto".
Ad ogni modo voi due eravate piuttosto legati.
“Non so come si possa non volergli bene. Gentile, sincero, divertente… poi era anche molto serio da un certo punto di vista, sia nel suo lavoro da sportivo che nei rapporti con le persone. Diventando famoso ha avuto sempre più amici, ma l’ha sempre fatto senza dimenticare quelli che aveva prima. Sul camion di Paolo, quello del Team, sai che c’è lui che gli dà del gas? In quella foto c’è una cintura che gli ho regalato io! È una cintura strana che faceva un mio amico… da alcune cinture fatte dagli americani e abbandonate in Germania mettevano la faccia di cinque grandi del rock che sono scomparsi. Tipo Jimi Hendrix, Jim Morrison… quella roba lì! Quando non doveva andare alle corse e vestirsi Rifle metteva sempre quella. Una volta gli ho regalato la maglietta di Muhammad Alì, con scritto dietro “vola come una farfalla e pungi come un’ape”. Gliel’ho regalata in Australia, poi siamo andati in Malesia e lui la metteva tutti i giorni. Sto parlando di quella Malesia lì, tra l’altro".
Alla gente, nonostante i filtri della televisione e tutto il resto, è sempre arrivata la sua disarmante umanità.
"Lui aveva un rapporto strepitoso con i disabili. A me ha insegnato tanto. Sai, magari non sai bene come approcciarti, cosa dire, hai davanti un ragazzino in carrozzella e ti trovi in imbarazzo. Invece Marco rideva, li abbracciava, ci scherzava. C’erano persone che piangevano dalla gioia, con lui. E il Sic andava sempre a trovare chi stava male davvero. Aveva grande consapevolezza della sua fortuna, della bellezza della sua vita, una cosa che in pochissimi hanno. “Faccio quello che sognavo da bambino e sta andando anche molto bene”. Lui era felice e consapevole di questa cosa. Io anche per carità, facevo il giornalista ed ero contento".
Gli hai fatto un po’ da zio?
“C’era un bel rapporto, era facile che piacesse una cosa che gli regalavo. Giocavamo, ma lui stava crescendo, cominciava a diventare un po’ più profondo. Da un rapporto più leggero, sempre di affetto ma un po’ goliardico, stava diventando un rapporto in cui si parlava anche di cose serie. Il mercoledì, prima di quella domenica di merda, siamo andati a prendere la Kate in aeroporto e abbiamo completamente sbagliato terminal! Cioé, era un po’ come Malpensa 1 e 2, ma considerata la megalomania dei malesi di Kuala Lumpur e quell’aeroporto gigantesco… continuavamo ad andare di qua e di là, e la Kate che aspettava da tutt’altra parte, poverina. E nel frattempo mi diceva che era contento del passaggio alle mille (al tempo si correva con le 800cc, ndr.), che stava facendo buoni risultati, aveva provato la moto dell'anno dopo e gli era piaciuta moltissimo.
Quell'anno era andato in vacanza nelle Filippine con Kate, perché la mamma di lei viene da lì e lui voleva conoscere i suoi parenti. Gli ho chiesto com’era e mi ha detto una cosa del tipo “bellissimo il mare, le spiagge, tutto incredibile… però cazzo, quanta gente che soffre”.
"Questo era Marco. Lui avrebbe fatto qualcosa di grande da vivo, qualcosa che in quell’ambiente non fa mai fatto nessuno”.