Composto, silenzioso, buone maniere, voce pacata. Paolo Ciabatti non è l’archetipo dell’uomo delle corse, quello con la voce roca e la vita spericolata da prima di Vasco. Eppure è lì da una vita, a prendere il peggio e il meglio del motorsport. Paolo Ciabatti è arrivato in MotoGP per lavorare a una Ducati su cui la gente scherzava, una Desmosedici che andava ben peggio delle moto clienti giapponesi. Erano giorni in cui assicurarsi un posto su di una stazione orbitante sarebbe stato più semplice che trovare qualche sponsor da mostrare sulle carene. Ecco, Paolo Ciabatti risulterebbe più credibile di tanti altri nel recitare il monologo conclusivo di Blade Runner: ha visto cose che noi umani faremmo fatica a immaginare, anche nel meglio però. Due mondiali piloti in fila, la moto più vincente della storia e la consapevolezza che prima del 2027 probabilmente nessuno riuscirà a superarla. Certo che poi c’è anche Marc Márquez, che è come avere un orso affamato al guinzaglio, oppure un Jorge Martín respinto da ormai due stagioni e quindi sempre più arrabbiato. Paolo, a tutto questo, dovrà pensare meno, al suo posto a fare da Direttore Sportivo ci sarà Mauro Grassilli. E se è vero che per uno abituato ai suoi ritmi seguire Ducati Corse Off-Road sarà quasi come andare in pensione, è anche vero che per chiunque altro sarebbe un sogno ad occhi aperti. Lui, cosciente di entrambe le cose, si limita a sorridere di una vita che gli ha dato tanto, portandolo in tutto il mondo per poi farlo tornare lì, dal punto in cui era partito. E da qui siamo partiti anche noi in una lunga chiacchierata in esclusiva con lui.
Allora Paolo, tu sei partito dal fuoristrada come tanti della tua generazione. È stato un viaggio lungo e ora stai chiudendo il cerchio.
“Può essere, sì. Io ho 66 anni, ahimè. I ragazzi della mia generazione, della metà degli anni ’70, sono rimasti tutti fulminati sulla via di Damasco vedendo On Any Sunday, in italiano Il Rally Dei Campioni. Era un film con Steve McQueen che parlava di tutto il mondo americano del fuoristrada: Baja 1000, motocross, enduro, flat track e via dicendo. Così il nostro primo obiettivo è stato quello di avere una moto cinquanta, poi prendere una 125 e andare a correre. Io ho iniziato con una Aspes 50, poi una Ancillotti 50 Sachs e a quel punto sono arrivato al Sachs 125, per farci le gare”.
E come andò il debutto?
“Diciamo che non ero bravissimo, mi sono fatto molto male subito. Così sono passato a fare i rally, altre cose… poi però mi sono messo a lavorare perché era ora di farlo. Però ecco, questa cosa del fuoristrada mi è stata la scintilla che ha acceso la mia passione per i motori. Volendo sì, posso dire che questo mio passaggio al fuoristrada chiude un ciclo di una carriera che ho avuto la fortuna di poter fare sempre nel mondo dell’automotive, delle moto e del motorsport. Da un punto di vista romantico poi è un bel modo per cercare di dare il mio apporto a un progetto nuovo e ambizioso di Ducati: so bene di essere nella parte finale della mia carriera professionale, però ci arrivo con degli obiettivi importanti perché Ducati anche nel motocross e nel fuoristrada vuole far bene. Ci vorrà del tempo, ma pensare di portare Ducati a esordire nel mondiale MXGP e poi nel Supercross americano, per poi raddoppiare l’impegno con la 250 è sicuramente un grosso stimolo per andare avanti qualche anno e continuare a calcare queste scene. Certo, non di asfalto ma di terra”.
Parli con grande lucidità. C’è, però, anche un po’ di irrazionalità, magari che ti spinge a portare Ducati a correre una Dakar?
“Quest’anno sono stato invitato dagli organizzatori e nonostante fossi arrivato il giorno prima da Los Angeles sono partito volentieri per Riyad: c’erano due giorni di riposo e ho avuto modo di guardare bene i team, di parlare con David Casterà e tutte le altre persone dell’organizzazione che sono state gentilissime, è stato importante capirci qualche cosa in più. Abbiamo un 450 monocilindrico che può avere delle caratteristiche molto interessanti anche nei Rally Raid, poi cerchiamo di fare le cose per bene e quindi di non mettere troppa carne al fuoco, oltre al fatto che oggi non c’è un progetto Dakar. Diciamo, comunque, che c’è una base tecnica, ma le priorità sono Motocross e Supercross”.
Sei arrivato in MotoGP dalla Superbike, dove era tutto più semplice. Ti aspettavi che Ducati sarebbe cresciuta così in dieci anni? Che percorso è stato?
“Lo speravo. Nel 2012, quando Ducati mi chiese se ero interessato a tornare in azienda, io lavoravo per il promoter del campionato mondiale Superbike come General Manager e per Ducati erano stati i due anni più difficili in MotoGP: il matrimonio con Valentino Rossi, partito con le più grandi aspettative da parte di entrambi, purtroppo non era andato nella direzione giusta. Quando sono arrivato in Ducati nel gennaio del 2013 la situazione era abbastanza preoccupante ed è stato un anno privo di soddisfazioni, perché sia con Andrea [Dovizioso] che con Nicky [Hayden] non siamo riusciti a ottenere nessun risultato degno di nota, anzi: i distacchi che ci prendevamo a fine gara erano imbarazzanti. È stato un anno difficile, ma anche l’anno in cui Claudio Domenicali è riuscito a convincere l’ingegnere Dall’Igna a unirsi a Ducati Corse. Dal 2014 abbiamo cominciato a vedere una lontanissima luce al fondo del tunnel e poi nel 2015, con la moto nuova disegnata sotto la direzione di Gigi, abbiamo cominciato a far dei podi e ottenere dei risultati, li stessi poi ci hanno portato a fare tre volte secondi con Andrea nel 2017, 2018 e 2019. Nel 2021 abbiamo fatto un cambio generazionale coi piloti, che ci ha portato a vincere gli ultimi due titoli mondiali con Pecco Bagnaia. Alla fine il mio obiettivo era quello di lasciare la MotoGP dopo aver vinto almeno un mondiale e l’ho fatto dopo averne vinti due. Ovviamente io ho fatto solamente un pezzettino, il merito è soprattutto di altri. Da questo punto di vista però non posso che ritenermi soddisfatto”.
Michele Pirro a Valencia ci ha raccontato che avete cambiato approccio dopo Jorge Lorenzo, rinunciando alle star per concentrarvi sullo sviluppo della moto e su piloti giovani. È così?
“Dal mio punto di vista Lorenzo è stato strumentale a questo cambio di approccio, perché in realtà per riuscire a mettere un campione come lui in condizione di far bene - cosa che ci è riuscita dal Mugello in poi, quando le nostre strade si erano già divise - è servito tutto il nostro impegno. Lui era iper-competitivo e se non fosse stato per qualche incidente credo che avrebbe potuto vincere di più con noi in quella sua ultima stagione in Ducati. Lui ci ha fatto capire che bisognava lavorare in una direzione che permettesse a piloti con caratteristiche diverse di poter ottenere il massimo dalla nostra moto. Chiaramente non è stato facile, ci fosse una ricetta ci arriverebbero tutti… noi ci siamo arrivati”.
Chiaramente la ricetta non c’è. In cosa, però, avete fatto la differenza?
“Forse siamo arrivati a risolvere i problemi della moto uno alla volta. La Desmosedici non era così agile nelle curve e abbiamo lavorato su quello, poi credo anche che abbia aiutato molto far salire sulla Desmosedici dei piloti che arrivavano dalla Moto2: non avevano un raffronto con Yamaha, Honda, o un’altra moto della concorrenza, quindi non andavano a cercare nella nostra moto caratteristiche che semplicemente non c’erano".
La Desmosedici di oggi però non è più la moto che va solo sul dritto, giusto?
"Giusto. La verità è che i piloti si sono adattati e nel frattempo la moto è migliorata molto. Poi i ragazzi della nuova generazione hanno cambiato un po’ lo stile di guida: oggi hanno tutti il gomito e la spalla appoggiati sull’asfalto, ma se guardi come guidavano soltanto sette o otto anni fa capisci che lo stile è cambiato completamente. I piloti di oggi riescono a far girare la moto anche perché sono veramente fuori con il corpo, secondo il mio modesto parere anche chi guidava in maniera più convenzionale (come Andrea Dovizioso, ndr.) era troppo legato a quello che aveva fatto per tanti anni e non riusciva a emergere”.
L’apice del successo di Ducati è un Marc Marquez che lascia la casa più importante al mondo e uno stipendio fuori contesto per passare ad un team privato e guidare la vostra moto. È stata una situazione difficile da gestire?
"Mah, sicuramente è stato un po’ sorprendente no? In Honda era superpagato, con un contratto valido per il 2024… poi le condizioni che avevano concordato lui e Honda non sono affar nostro, ma uno sconvolgimento del genere per per poter salire sulla moto - che immagino suo fratello gli avesse descritto molto bene - ci ha fatto effetto. A mio modesto parere questa vicenda ha un lato positivo e uno, invece, negativo. Perché è sicuramente positivo che un campione come Marc Marquez abbia rinunciato alla situazione in cui si trovava pur di salire su una moto che lui ritiene in grado di farlo divertire- e per divertirsi lui deve vincere, niente di meno. È chiaro però che questo aggiunge complessità alla gestione Ducati MotoGP, perché già lo scorso anno abbiamo avuto sei piloti vincenti e aggiungerne uno è un bel rischio da gestire. Marc cercherà di puntare al titolo come è legittimo che facciano lui e la sua squadra, però chiaramente sarà un equilibrio a cui bisognerà lavorare bene: i piloti ufficiali e con quelli del Team Pramac, in fondo, hanno un contratto Ducati".
Non farete favoritismi?
"Il nostro punto di vista è stato sempre molto chiaro, vinca il migliore. Però è chiaro, la seconda parte del 2023 è stata complessa ma quei piloti (Martín e Bagnaia, ndr.) si rispettano e non è successo nulla in pista che non fosse previsto dal regolamento. Abbiamo visto sorpassi maschi, ma non situazioni di scorrettezza. Poi è chiaro che alla fine si crea una bella tensione e da questo punto di vista Marc Márquez è bel rischio, tuttavia sono abbastanza convinto che sia Gigi [Dall'Igna] che Mauro [Grassilli ]saranno in grado di gestirlo. Però ripeto: è una variabile in più da gestire perché sono sicuro che Pecco sarà molto forte ed Enea proverà a partire col piede giusto. A questo si aggiungono Martín, Bezzecchi e Di Giannantonio, che ha fatto nell'ultima parte di stagione impressionante, oltre a Morbidelli che vogliamo vedere di nuovo veloce. E poi certo, i fratelli Marquez. Sarà un bel parterre de rois".
Nell’aria c’è un po’ questo discorso dell’uomo del bar, che dice se Martín avesse vinto a Valencia sarebbe andato in Ducati ufficiale, quindi se Marc dovesse vincere... una possibilità abbastanza concreta di vederlo in rosso c’è?
“Non è qualcosa di cui mi occuperò io (ride, ndr) però magari potete fare la stessa domanda a Mauro o a Gigi. Credo che sia naturale, no? La differenza importante è una: mentre Martìn ha un contratto con Ducati anche per il 2024 e quindi con tutta una serie di technicality questa cosa sarebbe potuta succedere, Marc Márquez ha un contratto con Gresini. Certo, è anche vero che ad oggi molti dei piloti non hanno ancora un accordo per il 2025, quindi credo che sia una possibilità, però sarebbe tutto da negoziare. Bisognerà capire quanto sia sostenibile o meno per Ducati e ripeto: è una cosa su cui non voglio dire di più perché non è qualcosa che gestirò io”.
Hai un rapporto incredibile con i piloti, non so quanti caschi tu abbia nel tuo ufficio o a casa. Che ricordi ti porti via da questi anni in MotoGP?
“Come sempre in un campionato ci sono dei momenti bellissimi e altri più difficili, quello che posso dire è che con tutti i piloti che sono passati in Ducati MotoGP ho mantenuto un ottimo rapporto personale, anche quando sono andati a correre per altre case: Iannone quando è andato in Suzuki, piuttosto che Dovi, Jack… e questo in realtà è il ricordo più bello. Magari capita di dover dare delle cattive notizie, però il pilota secondo me si rende conto che fa parte del mestiere e se ci si è comportati con onestà - che è quello che poi alla fine della vita secondo me paga nelle relazioni - è tutto più semplice. Per me, che do un grande valore ai rapporti umani, questo è molto importante”.
Ok, chiudiamo. Cosa sogna Paolo Ciabatti?
“In realtà da un punto di vista professionale sogno già di vincere in motocross, in MXGP, almeno delle gare. E di vincere in Supercross, poi vincere un titolo… è un obiettivo ambizioso, però sogno di portare Ducati a essere competitiva per lottare in questi campionati. Per il resto si vedrà, in queste cose ci vuole il tempo. Ma tutto questo mi regala un grande entusiasmo”.