Cosa significa perdere un figlio in gara possiamo solo immaginarlo. Paolo Simoncelli, invece, lo sa. Ecco perché, probabilmente, la sue parole valgono più di mille altre in tema di sicurezza: è un padre che ha dovuto dire addio a suo figlio ed è un uomo di motorsport che con la squadra corse che porta proprio il nome di suo figlio sta aiutando a crescere le nuove leve del motociclismo. Oggi, parlando ai microfoni di Sky, Paolo è andato giù diretto e senza troppi preamboli: è una questione di educazione e di giuste punizioni non date quando ancora servirebbero a qualcosa. Il tema, ovviamente, era quello della sicurezza in pista, dopo la tragedia di Dean Berta Vinales e dopo che, in questi giorni, s’è tornato a parlare di come evitare che fatti così accadano ancora con questa frequenza, soprattutto nelle categorie così dette minori.
Inutile, o quantomeno improduttivo - sembra essere l’estrema sintesi delle parole di Paolo Simoncelli - pensare di porre un freno a comportamenti che sono già acquisiti quando i piloti, per quanto giovanissimi, hanno già anni di motorsport alle spalle. Bisognerebbe intervenire prima, facendone, appunto, una questione di educazione e dovute punizioni. “C’è troppa poca educazione fin dall’inizio – ha spiegato - Il punto fondamentale è l'educazione, che nasce dalle minimoto, da quando i piloti salgono in sella per la prima volta. Bisogna essere più duri da subito, punire quando è il momento e farlo in maniera intransigente”. Altrimenti si finisce che nessuno chiude il gas, che le bandiere gialle vengono ignorate e che la problematica poi diventa irrisolvibile. “Un altro aspetto importante – ha aggiunto Paolo - è il numero di piloti al via: ridurlo potrebbe aiutare”. Infine sarebbe opportuno anche ‘educare al pericolo’: “far capire ai ragazzi, fin da piccolissimi, che se vai fuori cadi: il verde è un rischio in più, non una tutela".