"Il re è denaro" aveva detto Lewis Hamilton all'inizio della scorsa stagione di Formula 1 quando, arrivato in Australia per correre il primo Gran Premio dell'anno, si era ritrovato circondato da una situazione complicata e incerta: il Covid stava paralizzando, proprio in quei giorni, l'intero mondo, e il circus si interrogava su che cosa fare per riuscire a portare a casa una gara che, oggi lo sappiamo, non si è mai svolta.
Una frase quella di Hamilton che ha sempre rappresentato, anche se in forme diverse, la gestione della categoria massima di motorsport, che negli anni ha dovuto fare i conti con crisi economiche, sportive, sociali o sanitarie. La Formula 1 è uno sport estremamente costoso e anche in questo periodo storico FIA e Liberty Media stanno facendo di tutto per recuperare gli investimenti persi nel 2020 a causa del Covid e costruire le solide fondamenta per il futuro dello sport motoristico.
Tra queste soluzioni una delle più discusse è quella di spostare parte del calendario nei paesi arabi, da anni interessati al business del motorsport, e pronti a sborsare cifre non competitive per il Vecchio Continente in difficoltà. In questa lunghissima stagione quindi vedremo per la prima volta in scena una tripletta finale nel Medio Oriente composta dal Qatar, con il circuito di Losail, già noto agli appassionati di MotoGP; dal Gran Premio di Arabia Saudita, con il nuovo circuito di Jeddah, e infine dall'ormai tradizionale ultimo appuntamento dell'anno ad Abu Dhabi sul circuito di Yas Marina.
Non mancano però le critiche nei confronti di questa scelta, sia da un punto di vista sportivo - con gli appassionati che spesso vengono delusi da queste piste e che preferirebbero il divertimento tradizionale di piste classiche come Imola o Portimao - sia dal punto di vista dei diritti sociali e dalla scelta ritenuta poco etica e coerente di Liberty Media, che negli scorsi anni si è spesa molto sul piano sociale con campagne di sensibilizzazione per portare diversità nel motorsport.
Tra chi non ha apprezzato l'arrivo del Qatar nel calendario di F1 c'è Amnesty International: "Non è un segreto che i paesi ricchi del Medio Oriente vedano lo sport di alto livello come un mezzo per rinominare e lavare le loro immagini pubbliche - fanno sapere in un comunicato - e un Gran Premio in Qatar farebbe più o meno lo stesso. I piloti e i loro team dovrebbero essere preparati a parlare dei diritti umani in Qatar in vista di questa gara, facendo la loro parte per rompere l'incantesimo del lavaggio sportivo e della gestione dell'immagine''.
Oltre al problema sociale un altro grosso intoppo potrebbe rovinare l'immagine della perfetta tripletta conclusiva della stagione: il circuito di Jeddah, in Arabia Saudita, non è ancora stato completato e i lavori faticano a proseguire. E' una corso contro il tempo quella che separa i lavori dall'appuntamento del prossimo 5 dicembre. Al momento nelle immagini diventate virali online si può chiaramente vedere un cantiere ancora aperto, con tantissimo ancora da fare.
Andrà tutto bene in questi appuntamenti inediti e attesi? La risporta a questa domanda sarà anche un grande indizio sugli scenari della Formula 1 nei prossimi anni.