Lo ha detto mille volte, ma ha quel modo lì di dirlo che ogni volta ti sorprende: “Marco è morto correndo in moto, ma la mia famiglia e io rifaremmo tutto”. Paolo Simoncelli è così: schietto e pure un po’ burbero, quasi a voler lasciare intendere che anche sapendo come sarebbe andata a finire avrebbe comunque messo suo figlio sopra una motocicletta. Lo ha ribadito nella lunga intervista realizzata da Motosprint, in cui ha parlato del dramma che ha vissuto, ma anche del team che porta il nome di Marco, dei suoi pilotini e della MotoGP attuale. Arrivando a dire qualcosa che magari potrebbe non risultare particolarmente popolare in Italia, ma che evidentemente è figlia di una convinzione radicata: “Marc Marquez è un buon esempio”.
Lo dice rispondendo alla domanda su quale deve essere la caratteristica principale di un pilota, con paolo che prima del talento, prima dell’astuzia, prima delle capacità tecniche mette, appunto, “la fame”. Quel qualcosa che ti fa rispondere solo all’istinto di provare a vincere, magari anche a dispetto delle buone maniere. “Marc dopo la gara di Phillip Island ha detto che fai questo lavoro solo se hai molta fame – ha aggiunto Paolo Simoncelli - Se non hai fame, non fai questo lavoro. Questa è la regola. Le competenze sono necessarie, ma la fame di mangiare tutto lo è ancora di più”. E’ un messaggio che vorrebbe passasse anche per i pilotini di cui da anni si prende cura e che aiuta a crescere nel nome di Marco, con lo spirito di Marco. “Conta la voglia di vincere – ha proseguito – La nostra squadra quest’anno avrebbe potuto fare molto di più, ma Riccardo Rossi deve ancora capire i sacrifici che comporta guidare una moto e Lorenzo Fellon si è un po’ perso per strada. Il nostro potenziale è maggiore di quello che abbiamo mostrato finora. Dobbiamo trovare un buon bilanciamento, la moto va bene e, come dicevo prima, serve tanta fame”.
Una fame che era tipica di Marco e che in carriera gli era costata anche qualche critica, soprattutto da parte degli spagnoli dopo qualche sportellata di troppo data in pista. Con Paolo Simoncelli che, però, quella storia la riscriverebbe da capo, nella consapevolezza che tanto non sono gli uomini a decidere per gli uomini. E meno che mai per i piloti: “Non ho nulla di cui lamentarmi: io e mia moglie, in quanto genitori di nostro figlio, abbiamo fatto quello che ritenevamo giusto, e lo rifaremmo. Marco era molto contento, quindi siamo contenti di come si è sentito. E’ il destino che decide. Quando deve succedere qualcosa, succede e basta, soprattutto nelle bagarre numerose, dove i piloti rischiano di essere investiti. Non possiamo farci niente".