La prima gara sprint della storia a Jerez, per la MotoGP, è stata forse la più intensa della stagione, complice la ripartenza in seguito all’incidente in curva 2 a pochi metri dal via: Franco Morbidelli è all’interno di Alex Marquez, non c’è spazio, finiscono nella ghiaia assieme ad Augusto Fernandez e Marco Bezzecchi a cui si incendia la moto. Così la Direzione Gara mette fuori una bandiera rossa e si riparte in dieci minuti appena per la gioia, immaginiamo, del Presidente FIM Jorge Viegas, il quale l’anno scorso aveva spiegato alla stampa quanto la partenza fosse il momento più eccitante di una gara.
Ad ogni modo le KTM ufficiali scappano anche al secondo lancio, con le Ducati di Bagnaia e Martín a inseguire. Dietro la storia più interessante è Daniel Pedrosa, che parte e arriva sesto. Il sorpasso della gara lo stampa Jack Miller a nove giri dal termine su Brad Binder alla famosa curva 13, anche se probabilmente ci si ricorderà più della vittoria del sudafricano. Aleix Espargarò cade a sei giri dalla fine, a -4 cade anche Joan Mir, mai veloce e costantemente arrabbiato con il mondo per tutto il weekend. La lotta tra Jack Miller e Brad Binder negli ultimi giri ci mette davanti agli occhi l’Argentina nel 2016, quando Iannone si lanciò su Dovizioso all’ultima curva. Invece no, i primi quattro si erano tenuti qualcosa in tasca per l’ultimo giro e Bagnaia - che sembrava in difficoltà a gestire Martín - va a prendersi il secondo posto ai danni di Miller e Binder vince la corsa, la seconda quest’anno dopo il sabato d’Argentina. Di certezze in questo campionato ne restano poche, forse una soltanto. Perché le sprint race sono belle, anzi bellissime, ma qualcosa in sottofondo stride: la sensazione di sentirsi un po’ come nobili dell’antica Roma sugli scalini del circo a godere di un possibile massacro forse, con la competizione che diventa sempre più fisica, sanguinosa e violenta, oltre che terribilmente incerta. I piloti dicono che è questa è la norma perché sanno che andrà avanti così. Franco Morbidelli racconta che la cosa divertente è arrivare alla fine ancora vivi, lo dice sbattendo i pugni sul tavolo e quasi perde la pazienza, un sorriso largo sul volto e la sensazione di essere andato a ballare su di un campo minato.
L’unica certezza qui dentro è Pecco, Francesco Bagnaia, ed è chiaro come il numero uno che porta sulla Desmosedici. Durante la conferenza stampa la sorella Carola accarezza il suo casco: da vicino è diverso, è ricoperto da una polverina dorata che dalla televisione - o da tre metri di distanza - fai fatica a notare. È così anche lui, più di quello che vedi da distante. Ed è consistente anche se si dice il contrario, perché uno che si stende o vince non manca di regolarità, ha solo parametri diversi dagli altri. Probabilmente non era deluso dopo il secondo posto di oggi soltanto perché si trattava della gara corta, quella con metà dei punti. Domani darà di più. Darà tutto e rischierà tutto, pronto a riprendersi la testa del mondiale in caso di successo e a presentarsi devastato davanti alle telecamere se le cose dovessero andare male. Nel giovedì di Jerez Bagnaia l’aveva detto in un’intervista a Paolo Ianieri per La Gazzetta dello Sport: “Sono la costante in un campionato in cui al momento non c'è un mattatore”. È vero: piano piano, senza che ce ne accorgessimo, Francesco sta diventando il riferimento assoluto di questa MotoGP, quello che se non sbaglia vince, che in una pista normale e in condizioni normali arriverà sempre davanti. Ecco perché anche dopo due zeri consecutivi è ancora il grande favorito. Resta da capire se smetterà prima di sbagliare, trasformandosi di fatto in un inesorabile tiranno come lo sono stati altri prima di lui, o se verrà qualcuno a portargli via tutto. Il che ad ogni modo difficilmente succederà troppo in fretta.