Pedro Acosta si sforza di sorridere quando gli sbatti la macchina fotografica davanti alla faccia. È contento del suo primo assaggio alla MotoGP, ne parlerebbe per ore. Dice che la cosa giù impressionante è la gente: “Io vengo da un team ufficiale della Moto2, uno dei migliori. Normalmente con me nel box c’erano quattro persone, durante i test invece erano in trenta a voler sentire i miei commenti… Ma anche voi”, aggiunge guardando il capannello di giornalisti che l’ha accerchiato per gonfiarlo di domande. “Siete tantissimi, è strano”.
L’idea di essere planato nel mondo dei grandi lo stupisce più della frenata, dell’accelerazione, della tecnologia dei questa MotoGP. A colpire è soprattutto il fatto che per lui il prototipo più tecnologico, veloce, e costoso che si sia mai visto su di un paio di ruote è niente più che un mezzo da competizione: “Questa è una moto da corsa, una vera moto da corsa. Non è come una Moto2, che può sembrare più un mix con una moto da strada”.
La prima domanda in inglese della sua vita da pilota MotoGP gliela facciamo noi, guardandolo dritto negli occhi e a mezzo metro di distanza: Oggi hai guidato per la prima volta in vita tua una MotoGP. Quanto pensi ti ci vorrà a lottare per il titolo? Lui ride, poi risponde serio: “Spero non troppo, spero non troppo. Ma non parliamo del campionato, sarebbe stupido dopo un giorno di test. Ma è vero che - parlando della moto, non di me - sarò veramente competitivo tra poco. Non puoi immaginare quanta gente stia lavorando alla moto, che tra pochissimo sarà veramente veloce”.
Questo non è venuto in MotoGP per andare a spasso. Lo senti da come parla e pure un po’ da come si muove, con quei capelli rasati ai lati della testa come fosse un hooligan. L’approccio nel box ne è una piccola conferma: “Il mio capotecnico è qui dall’inizio del progetto e ogni volte che uscivo mi diceva ‘se vuoi fare qualche modifica dimmelo, sono qui per te’. Ma io gli ho risposto ‘No man, io sono qui per te!’. Mi sta aiutando a guidare, sa tutto di questa moto”.
Quando dice di essersi goduto anche la caduta sembra di sentire Marc Marquez. Anche considerando come sei l’è procurata: “La caduta è dovuta al fatto che ho fatto un errore in curva 1, che si è trasformata in un movimento in curva due ed ero troppo a sinistra per arrivare in curva. Ma devo essere onesto, ho visto Maverick Viñales e Alex Rins entrare in curva ad una velocità folle e ho detto ‘ok, lo posso fare anche io’. E invece… adesso sappiamo che è meglio aspettare un giro in più”
Pedro Acosta arriva, ed è quasi una rarità, in una categoria in cui non è dato per favorito. È la MotoGP e lui, ci sono buone possibilità, l’approccerà col metodo Ayrton Senna.
Lo chiameremo così perché il brasiliano è stato tra i più grandi a metterlo in pratica per poi ispirare tanti altri personaggi di grande caratura: Marquez, Schumacher, Verstappen. Gente così. Valentino Rossi non era meno brutale ma aveva, appunto, il metodo Valentino, impostato per lo più sul piano mentale: ti tolgo il saluto, ti faccio sentire uno stupido, ti disso con la stessa geniale violenza di Eminem nei freestyle di 8 Mile. E poi, certo, punto a massacrarti in pista.
Il metodo Senna invece è più fisico: arriviamo in curva assieme? Piuttosto che farti passare mi ammazzo. Andiamo fuori tutti e due, non ho niente da perdere. Se non chiudi il gas la tua gara finisce. Lo fa una volta, due, tre. Lo fa finché non capisci che continuerà sempre così e finisce che lo lasci passare o, comunque, finisci a pensarci molto più attentamente. E a perdere tempo. Se ci fosse ancora qualche dubbio in merito alle sue intenzioni è lo stesso Acosta a schiarire ogni dubbio: “È vero che non mi piace essere 20° in classifica, ma oggi anche 20° in classifica va bene”.
Pedro Acosta è così, farà così. E dividerà il mondo in due come fanno i grandi. Ancora però, c’è del tempo per tutti gli altri.