A margine della Sprint di Assen Marc Marquez si presenta davanti ai microfoni di Sky e, con l'espressione stanca ma sollevata, dichiara: "Oggi ho vinto pur non essendo il più veloce". È una frase che rimbomba nella mente degli addetti ai lavori, degli appassionati, di chi la MotoGP prova a seguirla con occhio critico, ma anche di chi ha guardato la Sprint olandese pur non essendo un patito di corse e di due ruote. Una frase che, per tutte queste categorie di persone, lascia scaturire una sola semplice domanda: "Ma perché Alex Marquez non ha mai provato a sorpassarlo?".
Alex rampava sul posteriore del fratello Marc nel terzo settore della Cattedrale. Le curve dieci, undici e dodici, tre pieghe a destra una più veloce dell'altra - tre curve che in uscita invitano al traverso e ingolosiscono gli amanti delle gomme fumanti - vedevano la GP24 celeste numero 73 del Team Gresini inghiottire la Ducati GP25 rossa numero 93. Alex stabile, fermo, feroce in accelerazione come la punta di un coltello, mentre Marc era preda di una traiettoria che si spezzava in più punti, di una trazione che singhiozzava a più riprese. In quel tratto epico e stretto, a meno di clamorosi errori di chi sta davanti o di incredibili miracoli del pilota chiamato ad attaccare, il sorpasso è impossibile. Bisogna tagliare gli spigoli di curve 13-14 (che i piloti affrontano quasi a moto dritta) e percorrere la quindici - una lunghissima e veloce sinistra - prima di cogliere l'opportunità di sorpassare alla 17-18-19, tre rampini in successione in cui è racchiusa l'emblematica "esse" finale di Assen, dove nel corso della storia se ne sono viste di tutti i colori. Lì, nel punto che quelli bravi chiamano hotspot, Alex si presentava sempre con qualche metro di troppo di distanza da Marc. La situazione, in breve, potrebbe essere riassunta così: Alex sembrava avere le carte in regola per scavalcare il fratello e lasciarlo sul posto, ma ad ogni giro Marc rintuzzava questa eventualità servendosi del talento in curva quindici, dove la sua predisposizione naturale nell'affrontare pieghe mancine gli permetteva di entrare, fare strada e mantenere la corda con una facilità che Alex e compagnia non si spiegano.

È come se Marc Marquez avesse costruito la sua vittoria su una sola curva. Rigirando la frittata, è come se Alex Marquez avesse perso la 'kappa' per una sola curva. Il che, guardando lo slancio con cui il pilota Gresini ha sorpassato Bagnaia e Quartararo in partenza prima di mettersi in pressing sul fratello, stride sulla valutazione complessiva del sabato del 73, una giornata sportivamente di altissimo livello ma sporcata da un alone di incompiutezza. Alex, per stessa ammissione di Marc, era visibilmente più veloce oggi. Eppure non è riuscito a trovare un sistema, ad inventarsi un modo per ingaggiare un duello con il rivale nel Mondiale, per dare un segnale forte ad un ambiente che troppo spesso lo sottovaluta e per rosicchiare qualche prezioso punto in una classifica che ancora lo vede pienamente in gioco per la posta grossa (adesso si trova a -43). L'aggravante risiede anche nel fatto che oggi Marc non era disposto a tutto per vincere: era acciaccato, ammaccato, infastidito da un punto di sutura sul mento e consapevole che un'ulteriore caduta avrebbe messo in seria crisi il suo fisico. Alex, da bravo fratello, avrebbe dovuto saperlo.
La conclusione secondo cui Alex non abbia affondato il colpo per timore reverenziale sarebbe semplicistica: è chiaro e comprensibile che i fratelli Marquez quando sono vicini, in questo momento del campionato, vadano al risparmio in termini di rischi e pericoli. L'impressione, però, è che Alex sia stato meno bravo e meno affamato di Marc nei momenti decisivi. L'espressione di Alex - invece - nel post Sprint trasmette un piccolo rimpianto, un'insoddisfazione figlia di un potenziale che non è stato sfruttato davvero al massimo. Gli sarebbe bastato essere un po' più rapido in curva 15 e un filo più incisivo nella staccata di curva 1. Ci riproverà domani, nella gara lunga.
