C’è stata un’epoca in cui la quieta del lungomare di Napoli veniva disturbata dai rombi dei motori delle auto di Formula 1. Un periodo in cui i cittadini partenopei si fermavano ad ammirare con il fiato sospeso o colmi d’entusiasmo vetture sfrecciare per le strade della propria quotidianità. Dal 1933 al 1962 all’ombra del Vesuvio, più precisamente nel quartiere di Posillipo, si svolse infatti quella che inizialmente fu denominata “Coppa Principessa del Piemonte” in onore della consorte di Umberto di Savoia, Maria José. Dal 1948 in poi fu ufficialmente definito “Gran Premio di Napoli”. Il tracciato cittadino di 4,1 chilometri, partiva dal Parco Virgiliano, e proseguiva verso via Tito Lucrezio Caro, Marechiaro e Via Boccaccio. Inizialmente gareggiarono solo auto di Formula 2, dal 1954 la competizione si aprì anche alle vetture di Formula 1. La “piccola Montecarlo”, così veniva definita tra gli addetti ai lavori la gara partenopea, era una competizione totalmente estranea al Campionato Mondiale della categoria regina, ma ugualmente in grado di attirare piloti e scuderie anche di rango internazionale. Tra le strade di Posillipo hanno sfrecciato piloti del calibro di Tazio Nuvolari, vincitore dell’edizione del 1934 a bordo di una Maserati 6C 34; Nino Farina, recordman della gara, che si aggiudicò le edizioni del 1937, 1952 e 1953; il due volte iridato in Formula 1 Alberto Ascari, che vinse le edizioni del 1951 e del 1955, e proprio a Napoli disputò la sua ultima gara prima di morire tragicamente a Monza. “Quello di Posillipo – raccontava Juan Manuel Fangio, che a Napoli non riuscì mai a vincere – era un tipico circuito cittadino e nascondeva tante insidie, come gli spigoli dei marciapiedi, per non dire degli alberi lungo i tratti in discesa, ai lati della strada. Un vero incubo”. Pare che anche Enzo Ferrari fosse affezionato alla gara di Posillipo e che quando nel 1962 fu chiusa definitivamente lasciò il capoluogo campano con grande rammarico.
Quando si parla di motorsport in Italia, la mente richiama subito immagini della Romagna e della Lombardia, terre di motori, fucine di piloti di successo e piste famose in tutto il mondo, ma la storia del Gran Premio di Napoli dimostra che non è sempre stato così. Un tempo anche il Meridione era una tappa importante per gli appassionati delle quattro ruote. A ricordarci il profondo legame che univa i napoletani alle corse automobilistiche vi è la storia di Cosimo Turizio, pilota napoletano classe 1941, che a 83 anni vola ancora a bordo della sua vettura blu da 510 cavalli e 3000 di cilindrata, una Hesketh 308E con motore Cosworth.
“Ho sempre avuto una forte passione per i motori e questo mi ha spinto a correre, nient’altro. Mi ritengo molto fortunato perché da giovane volevo lavorare nel mondo delle auto, volevo gareggiare e ci sono riuscito”, racconta Turizio. “Non ho mai neanche avuto un idolo. Se punti al massimo non puoi permetterti di idealizzare qualcun altro”. La sua carriera inizia con la Sorrento-Sant'Agata del 1964 a bordo di un'Alfa Romeo Giulietta Sprint. Da quel momento in poi è un susseguirsi di successi fino a raggiungere il culmine nel 1972, quando a trentun anni si laurea campione d'Italia della classe 1300. Non sono mancate le soddisfazioni anche in Formula 2, dove è sceseso in pista con piloti del calibro di Renè Arnoux.
Erano altri tempi quelli del pilota napoletano, si correva sfidando la morte: le vetture non erano così affidabili come oggi o dotate dei più più basilari sistemi di sicurezza, le piste pericolosissime e prive di via di fuga. “Un pilota non presta attenzione a queste cose. Già solo entrare all’interno della monoposto fa paura, si sta stretti e non ci si può muovere. La passione per i motori ti fa superare qualsiasi timore, correre ad alte velocità è una sensazione unica”. Gli incidenti non sono naturalmente mancati: “Ce ne sono stati, ma si tende a dimenticarli. Una volta al Nurburgring andai a sbattere e sulle spalle rimasero i segni della cintura, due strisce nere impressionanti, e il collo si bloccò per una settimana. Rispetto a oggi all’epoca era davvero pericoloso, per fortuna non ci sono mai state gravi conseguenze. In pista non ci pensi alla morte, ti senti potente, immortale”.
Durante in Gran Premio del Sudafrica del 1977, quando in griglia erano presenti talenti del calibro di Niki Lauda e Gilles Villeneuve, muore tragicamente Tom Pryce. A questo punto la carriera di Turizio potrebbe avere una svolta clamorosa. Viene infatti scelto dalla Arrows per sostituire il pilota britannico in Formula 1, ma l’orgoglio e l’impazienza di dover aspettare i dirigenti in abbondante ritardo gli hanno portato via quel sogno: “La vita è così. Per molti amici devo ritenermi fortunato per aver raggiunto certi livelli di competizione partendo da Napoli. Un pilota però non si accontenta mai, vuole sempre di più. La mancata occasione in Formula 1 è l’unico rammarico della mia carriera”. Al suo posto fu scelto Riccardo Pratese, che sarebbe poi entrato a far parte del Circus stabilmente. La delusione per il mancato approdo nella massima serie automobilistica fu troppo forte e così decise di comprare una barca a vela, pur non essendoci mai salito, iniziando a coltivare questa nuova passione che porta avanti tutt’oggi.
La passione per i motori non si è di certo spenta nel 1977 e in qualche modo il sogno di poter gareggiare in Formula 1 si è realizzato. Nel 2015, all’età di settantaquattro anni, scende in pista durante le tappe di Montecarlo e di Monza della Coppa Intereuropea Storica con la sua Hesketh 308E (ex Keegan) con motore Cosworth sfidando altre vetture d’epoca della medesima categoria. Il ricordo di queste due gare accende l’animo e l’orgoglio da pilota in Turizio: “Mi mangio ancora le mani per Montecarlo, non dico che potevo vincere, ma arrivare secondo sarebbe già stato un grande risultato. Quel giorno pioveva e Montecarlo è una pista che non ammette errori. Come vi dicevo, un pilota non si accontenta mai, si sente soddisfatto solo quando vince. Nella foga di voler prendere il primo davanti a me ho commesso un piccolo errore: sono andato lungo a Santa Devota e lì è finita la mia gara. Monza, invece, è stata una grande soddisfazione. Una ventina di giorni prima della gara mi ero sottoposto a un intervento chirurgico e non ero in forma, ma alla fine mi sono molto divertito. Ho fatto registrare il decimo tempo in assoluto su trentacinque iscritti, ho battuto una Hesketh del 1977 come la mia e una Shadow, proprio come quella che avrei dovuto guidare io in Formula 1”.
La recente manifestazione motoristica tenutasi lungo la riviera di Chiaia, il “Napoli racing show”, ha tentato di ridare lustro e voce alla realtà del motorsport campano troppo ancorata al passato e in cerca di un futuro. Negli anni precedenti si è tentato senza successo di far gareggiare per le strade di Napoli la Formula E e l’Indycar, ma per Cosimo Turizio ancora non ci siamo: “Rispetto a quando ho iniziato io a gareggiare le cose sono cambiate relativamente poco, basta pensare che a Napoli è assente l’Automobile Club che invece dovrebbe favorire e promuovere il movimento. In Campania è sempre stato un deserto di idee e occasioni, occorre un autodromo per creare un indotto e far crescere i campioni del futuro, e la zona della regione destinata è quella del casertano, dove il clima è buono anche per i costruttori e i fornitori di pneumatici”.