No, non è vero. Rischiare non è un obbligo. Niente lo è nel motorsport. Non lo è alzare il piede in partenza per evitare un incidente, non lo è lasciarlo lì aspettando che sia un altro ad alzarlo prima di te. Non affidarsi completamente ai propri ingegneri per poi lamentare una scelta strategica sbagliata o al contrario insistere, volere a tutti i costi seguire il proprio istinto, mostrandosi inadatti al ruolo magari. Ogni cosa è permessa, ogni cosa - in caso di errore - è criticabile. Ogni cosa può essere considerata obbligata, obbligatoria, superflua o caratteriale.
I tratti di un pilota diventano così i perni che ne costruiscono un personaggio, gli elementi distintivi di un carattere scolpito con l'aiuto della stampa, dei tifosi, dell'opinione di tutti quelli che non sono lui. Ed è così che un ragazzo di 17 anni appena entrato in Formula 1 diventa "Mad Max", il matto, il tornado, quello disposto a tutto pur di ottenere qualcosa. Poi cambia, vince, passa a guidare una monoposto che gli permette il lusso del successo senza rischi, e allora in un attimo diventa "il robot", quello senza emozioni. Funziona per tutti allo stesso modo, da sempre, e sempre con ogni probabilità sarà così.
Ogni pilota avrà il suo ruolo, la sua croce e la sua giustificazione, in un universo che spesso mischia le cose. Così è per Charles Leclerc, cuore e spirito di una Ferrari da troppo tempo in difficoltà, anima di un luogo sacro come Maranello che lo rende eroe e disperazione. Lui che, dando tutto alla ricerca del massimo, passa dalla vetta al fondo in un attimo, e con la stessa facilità risale. Dopo un inizio di stagione difficile, la più complessa dal suo esordio in Ferrari, il monegasco è tornato davanti a tutti con due pole a Baku, ricadendo verso il basso con un errore in qualifica a Miami.
Sono le montagne russe di un pilota destinato ai piani alti del podio, relegato a dover sgomitare sempre e costantemente. "Rischia troppo" urlano da una parte, "non è maturo" ripetono dall'altra. Ralf Schumacher, Flavio Briatore, Chris Horner, Helmut Marko. Tutti, nessuno escluso, hanno qualcosa da dire. "Ma è obbligato a rischiare" rispondono i contrari, "Se avesse la macchina vincente non farebbe incidenti" si continua. Toto Wolff, Fred Vasseur, Alain Prost, lo stesso avversario Max Verstappen.
Ma è vero quindi, che rischiare per Charles è oggi un obbligo? Lo è e allo stesso tempo non lo è. Correre senza l'occasione di vincere, o almeno lottare per farlo, è un abito che per natura gli sta stretto. Non ci sta, dentro all'ennesima stagione mediocre. Tira le cuciture del suo carattere, spinge per uscire e alla fine si strappa, in un modo o nell'altro. Esagerato nel bene, esagerato nel male. In una carriera costantemente osservata, esaltata eccessivamente da un lato e criticata senza riserve dall'altro.
Stringe, la tuta di Leclerc. Da dentro, nel suo essere sempre alla ricerca di qualcosa di più. Da fuori, tirata da una parte e dall'altra. Da chi dice "vuoi troppo", da chi "non fai abbastanza". E tenerla insieme, cucita sopra al cuore mentre gli altri parlano di lui, è davvero la priorità.