Sarà probabilmente la conclusione di una vita da sogno, di una carriera leggendaria: Carlo Ancelotti, a partire dal giugno del 2024, sarà il selezionatore del Brasile, della nazionale più evocativa e immaginifica del calcio. Boom. La bomba l'ha esplosa Ednaldo Rodrigues, presidente della Cbf, la federazione calcistica brasiliana, annunciando Urbi et orbi l'ingaggio dell'allenatore italiano, che a breve comincerà la sua ultima stagione alla guida del Real Madrid per poi sedersi sulla panchina della Seleçao per guidarla prima in Coppa America poi, nel 2026, al Mondiale di Stati Uniti, Messico e Canada. Dopo avere allenato in carriera alcune dei club più prestigiosi del mondo, essersi messo in gioco in diversi Paesi e diversi campionati e avere vinto praticamente tutto, a 65 anni – quelli che compirà il 10 giugno 2024 – andrà ad allenare una nazionale, che in fondo è l'unica cosa che gli manca. Anzi, non “una” nazionale: “la” nazionale, la Seleçao, quella che ha vinto il maggior numero di Mondiali ed è, nell'immaginario collettivo, sempre e comunque la squadra da battere. Futbol bailado, joga bonito, mettetela un po' come vi pare: da don Carlo a dom Carlo, e se ne andassero bellamente a stendere quelli che lo dileggiano bollandolo come antiquato, quelli che guardano le statistiche sui passaggi e dicono che no, dai, è vecchio, è superato, è bollito, vuoi mettere Nagelsmann e Tuchel, perfino Tedesco?
Sarà, ma intanto stiamo parlando di uno che ha allenato il Parma e la Juventus (“Un maiale non può allenare”, gli urlava più di qualche imbecille, evidentemente poco furbo e per nulla lungimirante) e un Milan epico, uno che si è scoperto uomo di mondo a cinquant'anni – lui, uno della Bassa reggiana – andando ad allenare prima in Inghilterra (Chelsea), poi in Francia (Paris Saint-Germain), quindi in Spagna (Real I), successivamente in Germania (Bayern), imparando lingue, vincendo campionati e coppe, scrivendo una storia calcistica memorabile e probabilmente impareggiabile, oltre a un'autobiografia godibile anche solo per il titolo allusivo, quel Preferisco la coppa che odora di trattoria, di gente gaudente, di una vita nella quale l'aspetto umano viene messo davanti a tutto il resto, così come nel calcio, e il segreto in fondo è tutto lì, in quel dia libre mañana che vale ore di sessioni tattiche. Dopo Monaco di Baviera era tornato in Italia, lui che comunque ha scelto il Canada e Vancouver come luogo di elezione, che non è esattamente Felegara, ma canadese è la seconda moglie, ed è bellissimo così. A Napoli l'hanno bollato come bollito, ma a Carletto il bollito nemmeno dispiace, e dopo l'Everton era tornato al Real e, di nuovo, a Madrid ha portato l'ennesima Champions League. Non c'è neppure bisogno di riepilogare tutto ciò che ha vinto, tantissimo, ma ha senso ricordare che poi non è che gli abbia sempre detto bene: il no al possibile trasferimento di Roberto Baggio quando era al Parma e l'ostracismo nei confronti di Zola – tutte cose di cui si è pentito – o il diluvio di Perugia, la finale di Champions contro il Liverpool a Istanbul 2005, ma nelle sliding doors della vita c'è stato un momento nel quale il suo mondo si è capovolto.
4 novembre 2001, il Parma, che ha esonerato Ulivieri, si è accordato con Ancelotti. Lo ha fatto personalmente Calisto Tanzi. Tutto è pronto. Solo che, quella sera, si gioca Torino-Milan: i granata vincono, Inzaghi sbaglia un rigore, Terim salta. Berlusconi e Galliani chiamano Carletto: “Questione di cuore”, dice lui a Tanzi, che lo lascia. Vai. Ancelotti sarebbe partito alla conquista del Brasile. Il Parma virò su Passarella, quando si dice il genio... Che poi, a dire il vero, l'esperienza in una nazionale Ancelotti già ce l'ha, essendo stato il vice di Arrigo Sacchi in azzurro a Usa 94, quando l'Italia perse la finale con il Brasile di Romario, Bebeto, Dunga e Taffarel, ma anche di Marcio Santos e di Mazinho. Occhio: il prossimo Mondiale si giocherà ancora negli States, e per uno che l'ha perso contro il Brasile sembra quasi l'occasione ideale per la chiusura del cerchio. La coppa, del resto, gli è sempre piaciuta, perché Carletto, alla fine, è uno di noi.