"La 48 Ore è stata una tappa che difficilmente riuscirò a dimenticare in vita mia”, confessa Gioele Meoni, il figlio del grande Fabrizio, al debutto nella Malle Moto senza assistenza. “Sarà forse che è la mia prima Dakar, ma questa avventura mi ricorda da vicino le vecchie Parigi Dakar. Mai avrei pensato di poter rivivere i chilometri di dune massacranti e infiniti, dormire soli, tra piloti, sotto un cielo stellato. Ho dovuto calibrare le forze, la moto e la benzina per arrivare in fondo. La spalla mi ha dato un po' di noie per la fatica che ho fatto nel tirare fuori la moto dalla sabbia. Ne esco felice, come quando si vince una sfida. In ballo c'è il sogno: finire la Dakar”. E’ la notte dell’11 gennaio, esattamente 19 anni da quel tremendo incidente che portò via il papà a Gioele e a noi tutti un uomo e un pilota ineguagliabile. La Dakar può essere crudele, entra nelle ossa perché è vera e puoi solo amarla perché è autentica come la vita.
Maratona
Per le moto 625 km di speciale da percorrersi in due giorni, per le auto 570 km. In comune i check point, il rifornimento e 7 spartani bivacchi sotto le stelle. Il percorso nell’immensa distesa del deserto dell’Empty Quarter - grande quanto la Francia - ha messo a dura prova mezzi e piloti. La sabbia estremamente soffice ed il caldo torrido, condizioni estreme, hanno reso la vita ancora più dura e tante sono state le defezioni per guasti meccanici. Le condizioni estreme hanno messo in crisi i consumi e tante sono state le defezioni per guasti meccanici.
Una la priorità: gestire il mezzo perché si trattava di una vera tappa marathon senza assistenza. Infine, l’incognita del bivacco sotto le stelle. Sette aree di arresto lungo la speciale. A conferma della durezza della tappa, nessun concorrente si è spinto fino al bivacco G posto al Km 499 della speciale. Solo 12 e tutti motociclisti, i coraggiosi che si sono spinti al km 475 (punto F). Tra questi il pilota Monster Energy Honda Adrien Van Beveren, vincitore di tappa, il compagno di squadra Ricky Brabec, nuovo leader della generale e Ross Branch, secondi a 51 secondi su 27h 12’ 12”. Le auto che hanno raggiunto il punto E al Km 434 sono state tre: la Prodrive di Nasser Al Attiyah, l’Audi di Mattias Ekstrom e la Toyota di Guerlin Chicherit. Sette le moto, tra queste il nostro Paolo Lucci, Mason Klein, Brad, il figlio di Alfie Cox, Tobias Ebster, il nipote di un’altra icona del Dakar come Heinz Kinigadner, l’indiano della Sherco Harith Noah.
Bivacco
Unica giornalista insieme a Medhi, il collega francese di Autohebdo, per questa straordinaria avventura mi sono spinta fino al km 434. Alla zona di arresto sono arrivati solo i più impavidi. “Senza cellulare siamo costretti a parlare”, esordisce il sudafricano Bard, sempre con la battuta pronta. Il papà, Alfie, correva con il co-pilota di Guerlin Chicherit, Alex Winocq. Iniziano così i racconti intorno al fuoco. Storie di corse e di vita perché le due cose sulla Dakar si intrecciano. “Io ne ho corse 20”, puntualizza il principe qatariota Nasser Al-Attiyah, 5 volte vincitore del Rally più massacrante al mondo (2011, 2015, 2019, 2022 e 2023) 5 volte campione del mondo FIA Cross-Country Rally e medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra (2012). “Ogni Dakar è speciale. Con Matthieu, il mio co-pilota, ci intendiamo bene”. Siamo vicini al confine con l’Oman e gli Emirati. Si sente a casa Nasser, e si interessa di tutti, a partire dai tre marshall locali che insieme ai responsabili del campo, tra cui il nostro Marco Martinelli, sono arrivati il giorno prima per verificare la posizione e organizzare il check point. Saranno i nostri angeli custodi durante la notte, ma intanto stanno preparando riso e pollo per tutti perché le razioni militari depositate dagli elicotteri dell’organizzazione non sembrano proprio appetitosi.
La notte
"E’ la prima notte in cui si può finalmente godere del silenzio e dello spettacolo del cielo stellato”, confessa Nasser, “Al bivacco è impossibile: il rumore dei generatori e dei meccanici al lavoro è costante tutta la notte, difficile farlo diventare la tua ninna nanna”. Anche lui, come gli altri, ha dovuto montare la tenda e il giorno dopo dovrà riconsegnarla piegata a dovere, se non vorrà prendersi una penalità.
Vincitore della tappa 5, ha aperto la pista tutta giornata, perdendo ben 21 minuti rispetto ai diretti rivali Carlos Sainz e Sebastien Loeb. Occorreva forse una diversa strategia? “L’avevamo messo in conto. Questa è una gara dove devi sapere quando attaccare e quando gestire, ma in entrambi i casi il ritmo è sempre elevatissimo”.
I giovani ridono e scherzano, si prendono in giro per il numero di volte che si sono insabbiati, ma la verità è che sollevare 150 chili nel deserto non è uno scherzo. “Ieri al rifornimento non volevo guidare da solo nelle dune, così non ho rispettato il tempo imposto e sono partito prima per riprendere Noah, il mio amico. Anche se ho preso una penalità non importa. Non volevo restare solo”, confessa dolcemente Mason, americano, 22 anni. “Peccato che io ero ancora fermo al refuelling. L’ho visto partire come un razzo”, dice il pilota della Sherco. E giù una grossa risata. Secondo indiano dopo CS Santosh a finire la Dakar con un eccellente risultato (20° nel 2021), Harith sembra più americano che originario del Kerala. Sarà per i capelli biondo platino e l’assenza del tipico accento indiano. "Ho avuto la mia prima moto nel 2009 e il fine settimana successivo ho corso nelle risaie vicino a casa. Me ne sono innamorato. Due anni dopo, da privato, sono diventato campione nazionale di supercross. L'ultima Dakar è stata dolorosa. Nella quarta tappa, c'era un piccolo gradino di sabbia e sono volato in aria per poi atterrare di testa sui ferri della mia moto. Mi sono rotto una vertebra, la T5, per fortuna senza danneggiare i nervi. Pochi centimetri a sinistra o a destra avrebbero potuto cambiare tutto”.
È l’ora del briefing. Uno dei ragazzi francesi dell’organizzazione raduna i 7 piloti e i 3 equipaggi auto intorno al falò. “Siamo ancora in speciale per cui non abbiamo una classifica di giornata. La tappa termina domani. Il primo concorrente prende il via alle 06:20 nell’ordine in cui è entrato nel punto di arresto (il bivacco E nel nostro caso). Daremo un colpo di clacson 10 minuti prima”. Mi offro per svegliare i piloti visto che non hanno il cellulare: alle 5:00 Mason Klein e Harith Noah, alle 5:20 Nasser Al Attiyah e Matthieu Baumel, alle 5:30 il resto della truppa. Con il sole che tramonta poco prima delle 18, alle 21 sembra già notte fonda. Mi godo le stelle, la compagnia dei tiratardi e il tè caldo preparato dai nostri nuovi amici, sadiqi pardon, come mi hanno insegnato (sadiq in arabo vuol dire amico).
Quando mi avvicino alla tenda, i miei vicini russano forte. Stasera voglio godermi l’immensità del deserto, così mi allontano un po’. Un altro piccolo trasloco di questa transumanza che è la Dakar.
Il risveglio
L’allarme suona alle 04:45. Giusto il tempo per lavarsi il viso con una bottiglietta d’acqua e correre a svegliare Mason. Lui e Noah si sono messi distanti dal resto. Sono speciali e soprattutto sono diventati amici. Hanno dormito pochissimo per la scomodità e il freddo. “Il suolo era troppo duro per le mie costole incrinate”, racconta Harith. “Potevo darti il mio materassino”, rispondo. E’ andata.
I piloti si preparano. Brad Cox ha steso su un telo sulla sabbia: casco – abbigliamento da corsa – guanti – stivali. Una precisione sorprendente considerata la situazione spartana. Paolo Lucci piega la tenda. I nostri sadigi hanno vegliato tutta la notte per garantire la sicurezza del campo e il tè caldo è già pronto.
Mason è un po’ ansioso ed è il primo ad avvicinarsi alla moto. La sua Kove, una moto cinese dal valore di 15.000 euro gli ha già dato diverse noie. Infatti non parte. È il primo colpo di scena di una mattina complicata. Noah si avvicina e la voce che Mason è in difficoltà si sparge subito in questo intimo bivacco. Arrivano tutti, anche Nasser. Sarà un contatto elettrico, oppure è rotto lo starter. La moto viene spinta. Tanti i tentativi prima di riuscirci. Così prende il via in orario, tra gli applausi di tutti per poi fermarsi un’altra volta, l’ultima, a 90 km dalla fine.
Game Over
“Sono finito in un buco, la moto si è spenta e non c’è stato niente da fare. Per sicurezza sono salito in cima alla duna e ho chiamato i soccorsi”, mi racconta Mason sconsolato al bivacco di Shubaytah. “Fa male al cuore. Avevo già percorso 535 km di dune sui 620 totali”. Grande rivelazione dell’edizione 2022 (9° della generale e miglior rookie a soli 20 anni), nel 2023 Mason è stato costretto ad abbandonare ad una tappa dalla fine, quest’anno il secondo giorno della crono. “Ci vediamo a Riad per il giorno di riposo”.
Altro colpo di scena nelle auto. Al km 530, quando mancavano solo 40 km alla fine, il duo Al Attiyah - Baumel hanno preso un brutto colpo, probabilmente un buco e hanno rotto l’avantreno sinistro. “Niente da fare. Abbiamo dovuto aspettare il camion di assistenza veloce in gara, ma perdendo 2h45 siamo precipitati dalle stelle alla sabbia. Possiamo solo continuare la corsa mettendoci a disposizione dei compagni del team Prodrive, ha commentato deluso.
La vittoria di tappa è andata al compagno di squadra e 9 volte campione del mondo rally Sebastien Loeb, mentre El Matador Carlos Sainz si è ripreso la testa della generale, complice la rottura della Prodrive di Nasser e l’uscita di scena del leader Yazeed Al-Rajhi (Toyota) al km 50 della Crono. “Anche noi abbiamo dovuto gestire i consumi” ha raccontato Carlos Sainz su Audi, nuovo leader della generale “La 48 Ore Crono è piaciuta, perché ricorda lo spirito delle origini”.
Ora si riparte e sarà un altro giro di giostra. Manca ancora una lunghissima settimana di gara.