La guida apparentemente sporca, i gomiti larghi, la gamba a penzoloni in staccata. Marco Bezzecchi lo guardi, in pista e fuori, e trasmette sempre qualcosa. Suscita trasporto emotivo, il Bez, attraverso una generosità straripante. Che poi lui, se si butta un occhio alla telemetria, è un pilota tecnico, pulito, veloce. Marco, se lo si osserva per bene, è anche molto timido. “Diobò quando ho visto 29.6 sul cruscotto pensavo fosse un buon tempo, però non di essere in pole. C’era il sole e dai maxischermi non capivo la mia posizione. Se non mi trovo davanti Robin (responsabile Dorna, ndr), che è bello grosso, e non mi fa segno di andare al parco chiuso, io tiravo dritto ai box”.
Lo dice con innocenza e una punta di dolcezza, ingredienti speciali. Tali per cui viene voglia di restare incollati al televisore solo per sentire l’intervista di Bezzecchi, che in un sabato autunnale dà il buongiorno all’Italia proiettandola nel weekend con un sorriso contagioso. Dopo la pole in Thailandia - la prima in MotoGP – il Bez si sfila il casco. I riccioli al vento, il cerotto sul naso per respirare meglio. Quel “Diobò” trascinato che è un biglietto da visita: “Tra Rimini e Pesaro, vengo da lì”, sembra dire. Il Bez ricorda il Sic. È un’immagine, un lampo, una sensazione e un luogo comuni. Suona superficiale, è vero, però si fa fatica a non pensarlo. E allora perché evitare di dirlo? Sarà il nome di battesimo, Marco. Sarà il diminutivo, due consonanti che avvolgono una vocale. Sic e Bez. Nel modo di porsi una bontà immediata, palpabile, vera. Tra i cordoli, davanti ai microfoni e a telecamere spente. Bezzecchi ha cominciato la sua avventura in MotoGP in un team privato che profuma di famiglia. Insieme al babbo Vito, silenziosamente al suo fianco, e a Matteo Flamigni, con il quale la simbiosi pilota-capotecnico è nata sin da subito. Il Bez, anni 23, nella sua stagione d’esordio in top class sta dimostrando velocità e, cosa più importante, lascia presagire ampi margini di miglioramento. Perché al momento Bezzecchi è tutto cuore e manico, ci prova sempre e cade spesso, come giusto che sia. Anche il Sic era così al debutto, con papà Paolo ed Aligi Deganello che mai lo rimproveravano per aver tentato. Il Bez e il Sic si assomigliano anche per quel broncio sconsolato e un po' buffo, dipinto in viso dopo un errore, una caduta. Uno sconforto che dura solamente qualche minuto, guai a prendersi troppo sul serio. Dopo una pataccata Bezzecchi, come Simoncelli, torna in sella con più grinta di prima, maggiore consapevolezza e tanta autoironia. “Ho cominciato le qualifiche con una morbida dietro usata, ma comunque in buono stato. Era quella di stamattina con cui al primo giro buono avevo fatto una cappella e al secondo ero uscito dai track limits. Poi con la seconda gomma sapevo di poter togliere qualcosa, ma mai pensavo di fare 29.6. Non so cosa mi sia successo in quel giro”.
In un video girato alla vigilia di Motegi Bezzecchi ha portato gli appassionati a fare un giro virtuale nel suo “ufficio”, un prefabbricato in cui i piloti – nelle trasferte extraeuropee – si cambiano prima di entrare in pista. “Qui ci sono tutte le mie cose, tutto l’essenziale per le grandi trasferte. Poco fa ho lavato i miei panni, quindi ora sto facendo asciugare tutto. Le mutande e qualche calzino di riserva stesi qui, possono sempre servire in caso di pioggia. Qui dentro mi rilasso e mi concentro tra una sessione e l’altra. E poi è fondamentale l’asciugacasco e tutta questa roba per asciugare (apre un cassetto), perché se si mette via la roba bagnata è un bel casino (sorride)”. Spontaneo, divertente. Sembra una scenetta del paddock di qualche anno fa. Uno di quei momenti rubati tra Paolo Beltramo e Marco Simoncelli. Di quel motociclismo che, grazie ai suoi protagonisti, entra soavemente nelle case della gente senza sentirsi ospite.