Era una bugia, quella di Daniel Ricciardo. Il suo "i never left", non me n'ero mai andato, scritto e pronunciato per decine di volte di dopo il successo di Monza 2021, è sempre stato una bugia.
Una bugia per noi, che quell'australiano tutto denti e sorrisi non abbiamo fatto altro che amarlo in tutti gli anni della sua carriera in Formula 1. Per la sua squadra, che da Daniel si sarebbe aspettata tanto, molto, e tutto diverso. E una bugia anche per se stesso, per il Ricciardo di un tempo e per quello di oggi, per quello squarcio che da qualche parte li separa e che non ha mai ammesso di avere.
Era una bugia perché il Daniel di un tempo, quello capace di lasciare la Red Bull sbattendo la porta pur di non fare il secondo pilota all'interno di un team dalle gerarchie chiarissime, non è quello di oggi. La sua carriera, come quella di molti altri prima di lui, è stata costellata da scelte sbagliate, dalla troppa foga, dalle porte aperte e chiuse in fretta. Ricciardo ha avuto tra le mani le monoposto per fare bene, ma mai abbastanza per quel salto di qualità necessario per entrare in lotta per un titolo mondiale. E quando le cose sembravano poter prendere una piega diversa, con il contratto stellare in McLaren arrivato dopo l'addio di Sainz alla squadra inglese, per l'australiano sono iniziati i problemi più grandi.
Sembrano stupidaggini ora, i tempi difficili di convivenza con il giovane Max Verstappen in Red Bull. Segni di una rabbia giovanile, di una carriera che doveva decollare, di un posto che da qualche parte, da qualsiasi parte, Daniel sembrava in grado di potersi ritagliare. E invece è arrivata l'età a farsi sentire, un compagno di squadra giovane e cresciuto all'interno del panorama McLaren, una monoposto difficile da guidare per un Ricciardo che si è dimostrato incapace di mettere di nuovo insieme i pezzi, cambiare il modo di guidare, ripartire da zero.
Ma nella giungla della Formula 1 però non ci sono alleati, neanche per chi ha un sorriso contagioso come quello di Ricciardo. Contano i risultati, i numeri, le cifre scritte su un contratto da cui ci si aspettava di più. Non conta l'umanità, se la musica del gioco delle sedie si ferma e qualcuno è costretto a stare in piedi. Una giostra di adrenalina che continua a cambiare, che stravolge regole e dinamiche proprio quando nessuno sembra aspettarselo.
Sebastian Vettel che arriva in Ferrari con la fama del giovane e imbattibile quattro volte campione del mondo e se ne va da sconfitto, ferito e deluso, sostituito dalla stessa fama di "predestinato" di un altro giovane promettente. Che dopo due anni altrove, in un'Aston Martin che gli ha restituito la gioia di correre oltre gli scarsi risultati alla bandiera a scacchi, sceglie la via del ritiro per tornare ad essere solo Sebastian, un padre che vede i suoi figli crescere, un uomo che ama tanto, tutto, anche fuori da quel mondo della Formula 1 che è stato il perno di tutta la sua vita.
Un ritiro che sconvolge le dinamiche del mercato, tra caos e colpi di scena, ma che forse per la prima volta dopo molti anni ci mostra la faccia più vera di un'arena che non fa prigionieri. È il volto di Fernando Alonso, 41enne senza età, che promette ad Alpine un rinnovo di contratto e contemporaneamente tratta, e firma, con un Aston Martin, per garantirsi un futuro nel circus più lungo possibile. È il volto di Oscar Piastri, pupillo d'oro della nuova generazione che tutti cercano di conquistare, che smentisce l'ufficialità di un contratto con Alpine (già annunciato) e tratta con McLaren per prendere il posto di Ricciardo, mentre la squadra francese lo minaccia di azioni legali. È la giungla dei migliori, i venti più forti, più pronti, più ricchi, più amati. Venti, quelli e basta, nessuno in più. Un ecosistema di dinamiche sempre pronte a spezzarsi, a cambiare, a distruggersi completamente con un colpo di vento.
E non importa quando amato sia il tuo sorriso, o quanto brillante fosse il tuo futuro solo tre, quattro, stagioni fa. Non importa quanto sognassi un titolo con Ferrari, quanto fossi "predestinato", seguito, considerato il prossimo grande campione. Importa dove sei ora, e quanto in fretta riuscirai a sederti quando la musica si spegnerà.