Santiago Bernabeu 1982 preso. Olympiastadion 2006 preso. Wembley 2021 preso. Non sono abituato a festeggiare scudetti, champions o trofei vari. Ultimamente soltanto le salvezze in serie B all’ultima giornata. E godevo. Ieri però di più, per tutto. Perché abbiamo giocato meglio, perché la reazione è stata, appunto, da campioni, perché loro erano davvero convinti di vincere. Ecco, se c’è una cosa che mi ha fatto godere è stata proprio per gli inglesi. Convinti di vincere da qualche mese, ci hanno detto di tutto, gol del vantaggio dopo due minuti e già cantavano “It’s coming home” … sì ma a casa nostra. La loro reazione alla cerimonia di premiazione parlava da sé. Loro a testa bassa che si tolgono la medaglia (ma poi perché), Wembley che si svuota in silenzio. E noi che cantavamo. Che goduria.
Questa è vittoria è del Mancio, del suo staff, dei ragazzi. È nostra. Ci siamo stretti tutti assieme dopo la rete subita, ci abbiamo creduto, non abbiamo mai mollato. La Nazionale lo ha sentito, i nostri avversari pure. Tutti uniti verso quella coppa. Lo avevamo già scritto, questa vittoria sarà l’inizio di un ciclo. Siamo forti, inchinatevi a noi. È l’Europeo di Bernardeschi, criticato da tutti, offeso e deriso. È entrato nei momenti più delicati della competizione e si è sempre fatto trovare prontissimo. Due rigori su due. State muti. È l’Europeo di Belotti che nonostante il compagno di reparto non abbia mai brillato è stato zitto e ha aspettato il suo momento. È l’Europeo di Florenzi che ha giocato la prima partita e dieci minuti dell’ultima e ha lottato come un leone. È quello di Locatelli che dopo una doppietta pensava di giocarle tutte dal primo minuto ma non è stato così. E va bene lo stesso. Conta il gruppo. Di una squadra, di amici, di colleghi, di tutto. Nessuno ha mai detto una parola contro l’Italia. È di Vialli e Mancini in lacrime, come noi.
Prima della lotteria dei rigori ho detto una cosa a chi guardava la partita con me: “Comunque vada grazie, è stato bello vederlo con voi”, basta. Prendo spunto da Lele Adani “è il percorso che conta”. Niente di più giusto. Sulla parata decisiva di Gigione ho pianto abbracciandomi con altri che piangevano. L’ho fatto una volta sola per il calcio, quando con il Livorno ci salvammo all’ultima giornata con un pareggio. È stato speciale. I caroselli, le bandiere, la gioia. Tutto. Godiamoci queste sere perché chissà quando ci ricapiteranno. Anche se la sensazione è che festeggeremo ancora. Come ha detto Leonardo Bonucci: “Ne avete di pastasciutta da mangiare”. Proprio vero. Ma mangiate quella italiana, non i vostri sciacquoni che ci mettete di tutto sopra. Avete provato a dettare legge ma non ci siete riusciti. Avete cantato e ci siete rimasti male. Stamattina andate a lavorare come noi (che poi appunto sono gli italiani a non aver voglia). Andatevi a togliere i tatuaggi. Vi siete tirati una maledizione da soli. L’avete persa voi. Se è dal 1966 che non vincete una coppa, come dice il buon Massimiliano Allegri, “Ci sarà un motivo, Dio santo”.