Wittgenborn, Germania. Uno dei kartodromi più famosi d'Europa ospita un weekend di gara per piccoli aspiranti piloti, uno dei tantissimi delle stagioni intense, logoranti, di chi prova a farsi spazio dentro al mondo del motorsport. Sui muri bianchi sono disegnati grandi kart colorati e nell'aria si sente l'eco forte della competizione, di una tensione che non ha età. Sono piccoli, vestiti con tute larghe e caschi troppo grandi per le loro testoline, ma sanno bene che cos'è l'adrenalina della gara. Alcuni di loro non sanno ancora fare le operazioni in colonna, qualcuno non sa neanche scrivere, ma tutti hanno imparato presto a fare i conti con la competizione, nessuno escluso.
È motorsport vero, quello di quei giorni a Wittgenborn. Senza politica, senza stampa, senza gerarchie. La velocità è velocità e basta, e il sogno di raggiungere la Formula 1 è talmente lontano da non fare neanche paura. Assomiglia alla purezza di un mondo da cui tutti sono passati, di cui tutti si sono innamorati, e da cui è partita la grande, complicata, scalata verso il successo. Non sanno a quanti compromessi dovranno cedere, quei bambini tutti tute e divertimento. Non sanno chi ce la farà, chi dovrà ammettere di non avere abbastanza talento, voglia, capacità di rinunciare a tutto il resto, soldi, sponsor, possibilità. Non sanno quanto vinceranno, perderanno, quanto farà bene e male il motorsport alla loro vita e a quella degli altri.
Sanno che vogliono correre, che fa caldo d'estate dentro quei kart e che nella pausa tra una gara e l'altra vogliono solo sedersi, bere, riposarsi sentendo il battito di un cuore meno martellante del loro. C'è un bambino, a Wittgenborn, che è stato immortalato così: seduto tra le braccia di sua madre, lei con gli occhi chiusi, il naso tra i suoi capelli. Lui stanco, con il volto arrossato, un bicchiere di latte in mano quasi finito. Quel bambino è un piccolo Sebastian Vettel agli inizi della sua carriera automobilistica e quella che lo tiene tra le braccia è la madre, figura silenziosa e nascosta della carriera del figlio. In un mondo fatto di padri piloti, padri manager, padri allenatori e padri motivatori, le madri non si vedono quasi mai. Ci sono però, silenziose e calme, nascoste nell'impegno di chi è chiamato a mantenere ordine e amore, chi cerca di non portare le proprie ansie, i propri ripensamenti, i dubbi di vedere un bambino così piccolo correre così veloce, così lontano.
E se il motorsport potesse essere rappresentato solo con una fotografia allora sarebbe questa. Sarebbe quella di un bambino che beve latte mentre si riposa tra una gara di kart e l'altra. Sarebbe la semplicità di un gesto spontaneo, ripetuto centinaia di volte, dentro a un mondo che non è brillante, che non è lussuoso, esclusivo. Ayrton Senna ripeteva spesso che il più grande avversario mai avuto in carriera era stato un pilota di kart semi sconosciuto, un avversario rimasto nel suo cuore per la purezza della competizione che avevano avuto il privilegio di avere. Lontani dalla politica, la stampa, il chiacchiericcio di fondo. Ed è così che appare, questa fotografia. Come un angolo quasi perfetto di una passione che non è ancora stata contaminata, che è di tutti, anche di quelli che grandi non lo diventeranno mai. Che è di un bambino che beve latte e ascolta il battito del cuore di mamma, un bambino che non lo sa se ci riuscirà a raggiungere i suoi sogni più grandi. E va bene così, perché ci sarà tempo per quelli.