Lewis Hamilton sa di non essere stato ascoltato. E vuole che anche gli altri, adesso, davanti a queste difficoltà, lo sappiano. Dopo la delusione del Bahrain, dove in molti - lui per primo - si aspettavano una Mercedes completamente diversa da quella vista in pista nel 2022, il sette volte campione del mondo ha alzato la testa: "Ho guidato così tante macchina in questi anni, so che cosa voglio e che cosa funziona. Ma non mi hanno ascoltato". La macchina non funziona, niente in questo momento funziona in casa Mercedes. Le prestazioni viste alla fine del 2022, quando la grande ripresa della squadra di Wolff ha permesso a George Russell di arrivare a vincere addirittura una gara, sembrano essere più lontane che mai.
È lo stesso Wolff ad ammettere che i problemi in questo momento sono troppi, e sono troppo difficili da gestire: "La W14 è da buttare, il titolo quest'anno non sarà nostro". Una resa che è un colpo per chi ha davanti a sé tutta la stagione, per chi in pista deve scendere, deve combattere, e lo deve fare accettando che non ci sia molto da vincere sul piatto. È più facile per George Russell che di macchine vincenti in Formula 1 non ne ha mai avute, che nella massima serie ha solo lottato in mezzo alla mischia e che davanti a sé ha tutte le speranze di una lunga stagione.
Per Lewis non è così. Vede la linea sottile di una bandiera a scacchi che sventola, sulla sua strada. A 37 anni compiuti inizia a sentire il peso di stagioni sempre più lunghe, con sempre più spostamenti, e a vedere giovani talenti che continuano a crescere, a maturare, a sperare a loro volta di vincere un titolo, di diventare i numeri uno. E poi Lewis non ha mai immaginato la sua vita sempre alla rincorsa della Formula 1: lo ha detto tante volte, di avere altre passioni, di voler fare altre oltre al motorsport.
Eppure il desiderio di vincere l'ottavo titolo, e la consapevolezza di avere qualcosa di lasciato in sospeso dopo Abu Dhabi 2021, è un traino troppo grande per pensare di smettere. Quando le cose non vanno come sarebbero dovute andare però, nel 2022 prima e nel 2023 poi, i dubbi e la rabbia comincia a logorare da dentro. Così come la consapevolezza che mentre tu, pilota, dai il massimo, qualcuno non deve aver fatto lo stesso. Qualcuno, altrove, ha più fame del tuo team, ha più testa, cuore, intelligenza o furbizia.
Iniziano i dubbi. Iniziano i guai. I guai di Lando Norris che con la firma di un lunghissimo contratto di McLaren si ritrova tra le ultime posizioni in griglia, costretto in una monoposto sbagliata, perdente, dentro ad un team storico che non sembra avere una direzione così precisa in questo momento. I guai che per tutta la vita ha avuto Fernando Alonso, passato da una squadra ad un'altra, da una speranza ad un'altra, da una sfida a quella successiva. Lui che oggi sogna in grande, finalmente felice su una monoposto che lo fa divertire, ma che a quasi 42 anni si guarda intorno e sa che quello non può essere il suo posto per sempre.
I guai di Charles Leclerc, di nuovo al centro di una posizione scomoda con una Ferrari che in Bahrain lo ha lasciato a piedi e che a Maranello perde pezzi, certezze, volti noti e appigli sicuri. Una Ferrari che ha la faccia del cambiamento, è vero, e che nella nuova gestione Vasseur cerca la forza di un nuovo (vero) inizio, ma che Leclerc significa incertezze, domande, fatiche senza gioie, domande sul suo futuro.
I guai di Lewis Hamilton che con un contratto a scadenza ha detto "non mollo, continuo" ma che dentro la voglia di continuare nasconde a fatica il bisogno di dimostrare, a sé stesso o agli altri, chi ancora è. Quello che ancora sa fare. E quello che non è disposto a lasciare, almeno così.