A cosa serve lo sport? Ci sono le sfide e la tecnica, nello sport. Tenacia anche, fortuna pure. Per gli atleti è un dialogo incessante con sé stessi, la ricerca sempre egoista della migliore versione di sé. Per chi guarda, gli occhi sbarrati dentro la competizione e il mondo attorno ovattato, è intrattenimento nella sua forma più pura. Lo sport è fatto di regole precise e uomini che vivono per superarle, impegnati a ridefinire il concetto di possibilità per sentire il proprio nome gridato dagli altri.
C’è un momento però, in cui la ferocia dello sport lascia il posto alla leggerezza ed è come dopo aver fatto l’amore: è la calma, un ritorno a casa e a sé stessi. Bello, insomma. Valentino Rossi lo ha raccontato spesso ricordando la sua carriera: non ha citato titoli e vittorie, non soltanto almeno, perché ha capito che il suo momento più alto, il suo regalo alla gente, erano quei 45 minuti spensierati la domenica pomeriggio, impennate e casino e fumogeni, che se c’era il clacson sulla moto avrebbe suonato pure quello. Lo sport è il luogo in cui tutto va quasi sempre come deve andare ed è anche per questo che ci fa godere: lo sport non è mica come la vita.
Andrea Soligo è morto a 25 anni ed è morto lavorando, con due bambini una moglie, Giorgia, giovanissima anche lei. A me vengono i brividi a pensarci. La morte non ci arriva mai addosso coi numeri, non ha quasi mai il volto della tragedia che pure scuote le nostre giornate e ci spinge alla ricerca di un colpevole, di un motivo. La morte ci colpisce quando la sentiamo un po’ nostra. Quella di uno sconosciuto che tra mille ti impressiona è come una di quelle frasi banali sentite una volta che non scordi più: io ad esempio mi ritrovo a pensare che “se spegni il gas ma non scoli la pasta lei continua a cuocere”. Cose cosi ce le portiamo dietro tutti, ognuno con un archivio più o meno grande, più o meno fornito, che salta fuori in maniera più o meno ricorrente prima di dormire o in fila alle poste. A me la storia di Andrea Soligo è entrata sottopelle per i figli piccoli che ha lasciato, per il fatto che piccolo lo era anche lui come lo sono io. Ora che c’è Instagram puoi andare a vedere chi era e cosa faceva, lo fai sentendoti un po’ sporco. Vedi un post del matrimonio con la dedica alla moglie, le foto dei figli. Ed è pure peggio di come l’avevi immaginato. A spiegarci che fare, come reagire, c’è la moglie Giorgia che non lo ha detto anche se il messaggio ci è arrivato lo stesso: cercate la leggerezza.
“Era tifosissimo di Valentino Rossi - ha scritto Giorgia ad una pagina Instagram, Il Motomondiale - mi piacerebbe realizzare il sogno di Andrea, lui ne sarebbe felice. Basterebbe anche solo una chiamata, un qualsiasi cosa che faccia arrivare Andrea al suo più grande idolo. Valentino era la sua passione, collezionava caschi e moto in miniatura, sapeva il numero delle vittorie, dove ha corso, sapeva veramente tutto. Andrea sarebbe felicissimo se fosse in qualche modo ricordato da Vale”.
E questo è tutto. Nel dolore, nella paura di quello che verrà poi, Giorgia ha cercato un po’ di leggerezza per suo marito e per sé stessa, provando a portare nella sua vita la felicità di lui. Nel buio, a tentoni, è andata a spingere un interruttore che accendesse qualcosa. È andata a cercare Valentino Rossi, che per qualcuno sarà un’icona vuota come una lattina di Coca-Cola ma che per il suo uomo era la vita, la spensieratezza e il successo.
Valentino Rossi per Andrea Soligo era la leggerezza, la risata, un pensiero felice. Giorgia in fondo ha chiesto questo a internet, così internet per un attimo ha smesso di essere un pozzo vuoto ed è diventato una piccola risposta. Francesca Sofia Novello ha visto il messaggio e ne parlerà con Valentino. Che volete che sia? Niente, mai. Tutto però, almeno per un attimo. Perché una foto firmata non è nulla, un saluto niente, ma che te ne fai delle cose? Prendi un momento leggero e fallo tuo.