Provando ad appassionarci a superflue amichevoli estive travestite da nuovi tornei pleonastici, tentando di dimenticare in meno di un anno il tracollo della Nazionale azzurra, cercando di consolarci con l’ultimo eroe di giornata, Wilfried Gnonto cui sono bastati 20 minuti per infiammare i nostri cuori spenti e arrazzare i commentatori già spinti alla consacrazione prematura del ragazzo classe 2003 che al momento gioca a Zurigo, Svizzera, campionato minore (però intanto loro ai mondiali ci sono, noi no) mentre le notizie di mercato lo spingono ora verso Sassuolo.
Mentre pensavo a tutte queste cose, fino a perdere il verbo reggente della proposizione, mi torna il filo del ragionamento. Eccolo: nel 2021 di questi tempi il mondo del calcio subì un profondo scossone causato dai ribelli della superlega che annunciarono il progetto di un nuovo campionato europeo per club, governato da un’élite con le idee molto chiare, superare la vecchia Champions e ridurre il peso delle competizioni nazionali. Erano una dozzina e sono rimasti in tre, Agnelli, Perez e Laporta, come nella canzone, gli altri fuggi fuggi spaventati dalle minacce di Ceferin e dalle sue sanzioni militari. Forse prematura, forse mal comunicata, però la Superlega prima o poi si farà, magari migliorando le regole d’ingaggio, se si vuol tentare di far sopravvivere il calcio, risollevarlo da una crisi di cui non si vede la fine.
Come spesso succede, certi progetti visionari rischiano di arrivare troppo presto. In dodici mesi l’Italia vince gli Europei ed esce dai Mondiali. Assurdo. Mi chiedo come possa ancora stare in piedi il più importante torneo del calcio senza l’applicazione di una regola chiara e precisa. L’oligarchia del pallone, le nazionali che hanno vinto almeno due volte la Coppa ci devono essere sempre, a maggior ragione se sono campioni in carica nel loro continente. Senza Brasile, Italia, Germania, Spagna, Argentina, Francia e Uruguay il mondiale non ha senso, queste squadre vanno qualificate per diritto, perché in Formula 1 c’è sempre la Ferrari e nella MotoGP sempre la Honda. Che ci frega dell’Ecuador, di un casino di nazionali africane sempre eliminate al primo turno, di cenerentole europee, di asiatiche mai più di comparse. Se la Fifa voleva puntare sulla globalizzazione forse non ha abbastanza tenuto conto che questo fenomeno è in atto dagli anni ’90 nei principali tornei del vecchio continente. Ormai le nazionali europee sono multinazionali. Senza contare l’indotto economico che i Paesi leader del calcio garantiscono. Una follia ignorarlo, ma è ormai conclamato che questi organi non sono più in grado di capire e dirigere il pallone nel terzo millennio.
Poi si può dire che l’Italia vista sul campo abbia meritato l’eliminazione, però c’è un sistema Paese, ci sono questioni di denaro e di potere su cui siamo troppo deboli con questi dirigenti. Gravina è contento non ci siano possibilità di ripescaggio, anzi ne mena vanto, fosse un politico attento e bravo farebbe di tutto per rientrare in Qatar. Il governo del calcio va cambiato alla radice. Spazio alla Superlega, di club e nazionale. Con la massima urgenza.