Era uno sport per pochi, la Formula 1. Anche quando sotto al podio di Monza una marea rossa riempiva l'orizzonte, fin a quanto l'occhio riusciva a vedere.
Era uno sport per pochi, la Formula 1. Anche quella di Niki Lauda, di Ayrton Senna, di Alain Prost e di Michael Schumacher. Quella dei "tempi d'oro" andati, delle sfide mortali, di un pericolo che non c'è più. Anche quando era popolare, quando era di tutti, la Formula 1 ha sempre avuto l'ambizione, forse dettata dall'arroganza di chi l'ha sempre seguita, di essere comunque uno sport per pochi.
Perché solo chi aveva tempo da dedicargli, poteva apprezzarla davvero. Uno sport per chi ha la pazienza di aspettare, di vivere per intero stagioni lunghissime, magari anche senza competizione mondiale, decise già all'inizio dell'anno da monoposto troppo competitive e vittorie scontate, gare noiose, ore e ore senza colpi di scena. Uno sport da sempre, per definizione, pieno di tecnicismi, aspetti ingegneristici, novità, regole, cambiamenti e strategie. Uno di quelli che accendi la televisione, ci capiti sopra per caso, e non capisci niente di niente.
Anche quando i piloti di Formula 1, vere e proprie star in Europa, comparivano in copertina di riviste patinate fuori dal settore sportivo, posavano per Playboy e si facevano fotografare con attrici, modelle, icone di mondi lontani.
Era uno sport per pochi, anche se di "pochi" poi non si parla mai, perché così voleva essere nei suoi giorni migliori, e così è stata costretta a restare in quelli peggiori. Ma oggi qualcosa sembra essere definitivamente cambiato. Liberty Media, gli americani, la nuova organizzazione, la svolta più "di intrattenimento" dei weekend di gara e il contributo fondamentale di Netflix l'hanno resa ciò che non era mai stata: pop. Di tutti, popolare. Nel senso più bello che questa parola possa avere. Linfa vitale nuova per una categoria che, chi la segue da tempo lo sa bene, fino a pochi anni fa sembrava destinata a morire, incanalata senza scampo dentro a tunnel che la stava portando a morire ogni giorno un po' di più.
Ed è inutile dire che "prima era più bella" o "c'erano meno tifosi da domenica", meno "tifo calcistico" perché del "si stava meglio quando si stava peggio" chi deve far quadrare i conti non si interessa. La Formula 1 è un carrozzone dei sogni in cui, prima di dare il via al divertimento, tutti i biglietti devono essere stati strappati, i conti fatti e i contati al loro posto. Non si stava meglio quando si stava peggio, in Formula 1. Si sta meglio ora, adesso che tutti i grandi protagonisti del circus sono personaggi interessanti, amati, dalle storie degne di essere raccontate. Adesso che gli spalti sono pieni in tutto il mondo, non importa quale sia il prezzo. Adesso che l'età degli spettatori si è abbassata, portando un nuovo pubblico che, al 77%, ha un'età inferiore ai 35 anni. Adesso che le azioni dal 2017 al 2022 si sono alzate del 250%.
Si sta meglio adesso, anche se la passione generalizzata per uno sport complesso, da sempre custodito gelosamente nel cuore di pochi, ha trasformato il pubblico in un ecosistema più variegato. Più "calcistico" si continua a dire, perché il calcio è l'esempio per eccellenza dello sport popolare, di tutti, quello della domenica di relax di chi ne conosce storia, strategie, mercato e regole nei minimi dettagli e quello di chi, magari guardando giocare la Nazionale, chiede per la centesima volta come funzioni un fuorigioco.
E allora iniziano le simpatie, l'odio online, le critiche e i commenti senza senso. Iniziano le proteste di chi la Formula 1 la seguiva dal 2010, dal 2000, dal 1990, da prima e ancora prima degli altri. Partono le polemiche degli addetti ai lavori, dei giornalisti che odiano i creator, degli youtuber che odiano i tiktoker, dei vips che entrano nel paddock, di questo e di quello e di quell'altro ancora.
La popolarità divide, cambia. E va bene così. Ma inutile nascondere l'evidenza davanti al successo clamoroso di una nuova generazione di piloti amatissimi, una strategia di marketing perfetta, una comunicazione che piace, funziona, si intensifica ogni giorno di più. Nello stesso mese, a settembre di quest'anno, Vanity Fair dedicherà la copertina del suo numero americano al sette volte campione del mondo Lewis Hamilton mentre GQ farà lo stesso con Charles Leclerc e Carlos Sainz. Mentre contemporaneamente Drive to Survive, la serie Netflix dedicata al circus di enorme successo internazionale, continua a catalizzare il pubblico americano che, dal 2023, avrà negli Stati Uniti tre tappe nel calendario ufficiale.
Adesso tutti sanno di voi, verrebbe da dire a quei venti piloti disposti a tutto pur di vincere, di primeggiare, di andare più veloci degli altri. Tutti sanno di voi, stelle di questo sport ritrovato. Pochi, pochissimi, meno di due squadre di calcio che si sfidano in campo. Protagonisti romantici, malinconici, di una battaglia d'altri tempi che scatta solo quando la visiera è abbassata e lo spazio per il coraggio è tutto stretto dentro ad una monoposto. Fuori da lì, fuori dalle curve di un mondo che nelle cose importanti non è cambiato, c'è un universo nuovo da conoscere. Perché sì, la Formula 1 adesso non è più uno sport per pochi.