Leggo qua e là commenti di persone che negano l’evidenza. Che sostengono che ci fosse qualcosa di irregolare nelle gomme di Lewis Hamilton in Turchia. Che, quando Bottas tira fuori le unghie, dicono che chiunque vincerebbe con la Mercedes. Che, quando Valtteri sbaglia, come a Istanbul, dove si è girato una, due, sei volte, dicono che Lewis abbia vita facile, con uno così in squadra.
La verità è che Lewis è bravissimo. Un alieno. A fine gara, andava più veloce di chi aveva le intermedie fresche non solo perché aveva gestito alla perfezione le gomme, ma anche e soprattutto perché aveva capito che le intermedie usurate rappresentavano la soluzione migliore su una pista troppo asciutta per le intermedie nuove e troppo bagnata per le slick.
A fine gara non si è voluto fermare perché sapeva che le sue intermedie ormai quasi lisce, che fin lì aveva coccolato, sarebbero state più performanti di un nuovo treno di gomme da portare in temperatura sul ghiaccio bollente della pista di Istanbul. Pur con il rischio di non arrivarci, alla bandiera a scacchi. Il confine tra il trionfo e la figura di merda colossale è labilissimo, e Lewis si muove come un equilibrista sul filo del rischio, grazie alla sua intelligenza.
E Lewis è un fuoriclasse a prescindere dalla sua Mercedes. Anzi, la sua associazione con le Frecce nere lo penalizza, paradossalmente, banalizzando il suo talento sconfinato e la sua capacità sopraffina di leggere la gara. È il migliore di tutti i tempi? Non ha senso chiederselo, e francamente non importa, visto che la risposta a questa domanda è soggettiva. Perché i paragoni con i grandi del passato lasciano inevitabilmente il tempo che trovano.
C’è chi sostiene che sia antipatico. Personalmente, ritengo che risulterebbe più gradevole al grande pubblico se smettesse di dire quello che ritiene che gli altri si aspettino da lui e fosse più genuino. Se tirasse fuori quel suo lato prezioso, vulnerabile, che ci lascia solo intravedere in occasioni rare, come la commozione di domenica. Ma ci vuol coraggio a mostrare le proprie debolezze. E, soprattutto, non stupisce che un personaggio pubblico come Hamilton decida di mostrare un’immagine di sé molto curata, filtrata. Nel nostro piccolo, sui social media, lo facciamo tutti.
In ogni caso, non sta scritto da nessuna parte che un campione debba per forza risultare simpatico. È solo un contorno. Il piatto principale è il talento. Indiscutibile. Era così anche per Michael Schumacher e tanti altri prima di lui. Lewis ha però il demerito di aver rotto una capsula del tempo preziosissima, quella dei record del Kaiser. Che rimanda a tempi più semplici. Senza COVID, senza crisi, quando si era molto più giovani e spensierati. Quando la Ferrari vinceva, e moltissimo.
Una coperta di Linus che in tanti si sono sentiti strappare via da una persona con un vissuto così lontano dal loro da risultare incomprensibile, fuori posto. Ma la verità è che i risultati di Lewis non tolgono nulla al luogo sicuro dei tifosi del Kaiser, quella scatola dei ricordi così preziosa, perché così lontana nel tempo e nelle circostanze. Lo aveva detto lo stesso Michael più di dieci anni fa, i record sono fatti per essere battuti. Ed è ora di farsene una ragione.
È comprensibile che si cerchi di imputare tutto alla monoposto. Ed è vero che senza la Mercedes Hamilton non avrebbe mai raggiunto questi risultati. Ma un conto è vincere, un altro è mantenersi a livelli altissimi per così tanto tempo. Anzi, migliorarsi. Perché non si nota di primo acchito, ma Lewis è sempre più forte. E penso che tra 20 anni, quando avremo tutti i capelli grigi, anche gli scettici, guardandosi indietro, si renderanno conto che Hamilton un posto nella storia se l’è meritato eccome, pure con tutte le attenuanti del caso.
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