L'anima è una camera da arredare, ha detto una volta Alessandro Baricco, e ognuno di noi sceglie che cosa metterci dento. Sebastian Vettel nella sua ha sempre collezionato gli oggetti della sua passione più grande, quella per la velocità. Li ha messi sugli scaffali della sua infanzia, uno per volta, ponendo le basi di un amore passato tra le mani di papà Norbert, i sacrifici di una famiglia normale, le difficoltà degli anni senza hospitality e giornalisti, vip e titoli di giornali. Sono gli oggetti più preziosi, quelli che lo hanno portato a debuttare in Formula 1 a soli 19 anni e 53 giorni, che nel tempo gli hanno regalato il titolo di bambino prodigio della Formula 1, trasformandolo in pochi anni nell'uomo da battere. I capelli biondi e l'apparecchio ai denti, il dito che punta in alto, la gioia sincera di un ragazzo che è riuscito ad ottenere tutto. Sono gli anni in cui la stanza si riempie dei premi più belli: quattro titoli mondiali in Formula 1, record su record, l'invidia di tutti.
Tra le mura della stanza però Sebastian Vettel ha sempre tenuto un poster d'infanzia, un amore infantile che lascia i segni del nastro adesivo sul muro, impossibili da cancellare. È il poster del suo mito, Michael Schumacher, vestito di rosso. La Ferrari diventa l'obiettivo e la sfida, il desiderio e poi, nell'impossibilità di conquistare quel sogno, anche la più grande delusione. Gli anni a Maranello lo cambiano e dopo due stagioni con Aston Martin arriva la decisione di lasciare il circus, di mettere altre cose dentro a quella stanza. Giochi per bambini, i suoi, attenzioni per chi negli anni ha rinunciato a tanto per seguire le ambizioni di un ragazzo destinato a grandi cose, ma anche oggetti nuovi per nuove passioni e nuovi obiettivi: l'attenzione all'ambiente, la lotta ecologista, i diritti umani e sociali al primo piano, in qualsiasi contesto.
E così c'è stato un momento in cui, per tutti, Sebastian Vettel ha smesso di essere solo un pilota. È diventato un simbolo, un caso unico in un ambiente che stava cambiando forma intorno a lui, e per tutti è diventato un punto di riferimento. Per gli altri piloti, che rappresentava nel ruolo di Presidente della GPDA, per i fans e non solo. Così quando, all'alba del suo ritiro, il tedesco ha detto che un giorno o l'altro tra non molti anni "sarebbe stato dimenticato" nessuno poteva credergli.
Non era finta modestia quella di Vettel, lui ci credeva davvero. Era convinto che le generazioni successive si sarebbero dimenticate di lui come, negli anni, ha visto succedere a tanti piloti di cui invece lui conserva un ricordo vivissimo. Ma Sebastian ha scelto bene gli oggetti da mettere nella sua stanza arredata dell'anima e condividendoli a modo suo, sempre lontano dai social e dalle telecamere, ha permesso a tutti di entrare in quella stanza. A Imola 2024 ha deciso di tornare nel paddock e di farlo per commemorare un mito, quello di Ayrton Senna, e il tragico ricordo di un weekend che ha segnato la storia del motorsport a 30 anni dalla morte del pilota brasiliano e di Roland Ratzenberger. Lo ha fatto il giovedì, organizzando una corsa con tutti i piloti e le persone del paddock e un omaggio al Tamburello, sotto la pioggia battente che ha colpito l'Autodromo pochi minuti dopo il via dell'evento. Lo ha fatto poi domenica, con alcuni giri di pista sulla McLaren MP4/8 di Senna, sotto al sole delle 13:30 di una giornata caldissima, tra le lacrime dei presenti.
E c'erano tutti, lì con lui. C'erano per rendere omaggio a Senna e Ratzenberger, e c'erano per Vettel. Perché quando Sebastian si muove, con lui si muove tutto il cosmo del paddock, come un'istituzione che va seguita perché è giusto farlo, perché glielo si deve e perché se ci crede lui per primo, ci credono anche gli altri. Aveva torto quindi, Sebastian Vettel. Bastava esserci, giovedì sotto la pioggia o domenica sotto il sole, per capire che aveva torto per davvero. Perché sotto al cielo di Imola è riuscito a tenere insieme tutto e tutti, e a mettere un oggetto nella stanza dell'anima di chi era lì.