Motegi è stato il Gran Premio delle resurrezioni, coronato da un podio carico di significato: tre gradini, tre storie di riscatto dopo aver toccato il fondo. Ma se il nono titolo mondiale di Marc Marquez era dato per scontato, se ci si poteva aspettare un segnale di grande presenza da parte di Pecco Bagnaia visti i test di Misano, ecco che il podio di Joan Mir a quasi quattro anni di distanza dall’ultima volta è il vero - gradito - colpo di teatro che il Giappone ci ha lasciato in eredità. In tanti potevano pronosticare una Honda competitiva dopo le ultime apparizioni, in pochi se la immaginavano sul podio - in una gara asciutta, standard e senza defezioni - con Joan Mir, che dallo scorso weekend romagnolo era uscito malconcio, infortunato, col collo incriccato.
Il risultato di Joan - non dovrebbe - ma inevitabilmente viene eclissato da ciò che gli è accaduto davanti: la festa emotivamente intensa di Marquez, l’inno di Mameli tornato a suonare per Bagnaia. Domani sui giornali si leggerà che sì, la gara di Mir è stata una delle tante ciliegine sulla torta della giornata storica dI Marc, che (come lui stesso ha sottolineato) grazie al maiorchino ha potuto ritrovare al parco chiuso la sua ex squadra - la Honda - e posare per le foto di rito accanto a due campioni del mondo della MotoGP. In verità ciò che ha compiuto il numero 36 a Motegi è speciale: non andrebbe mischiato ad altro, non andrebbe condito con altro, non andrebbe ridotto alla semplice pillola statistica dei mille e fischia giorni che lo separano dall’ultimo Prosecco stappato nel 2021, quando ancora guidava la Suzuki. Merita un capitolo a parte.

Mir è passato dal paradiso sportivo agli inferi. Molta gente ha provato a fargli credere che il Mondiale vinto nel 2020 fosse arrivato per caso, forse per distrazione divina. Joan non ci ha mai creduto - per carità - ma questa narrazione così irriverente sul suo conto non può non averlo influenzato nel momento in cui è passato alla Honda e all’improvviso si è ritrovato a sgomitare per la quindicesima posizione. Ha contribuito a trascinarlo sottoterra quando lui aveva già il morale sotto gli stivali per conto suo: con la RC2123V ha trascorso un anno abbondante in cui non si intravedeva il benché minimo segnale di una svolta tecnica. Andava piano, ma non rinunciava a provarci: piuttosto cadeva in continuazione, piuttosto si faceva male. Ad un certo punto si è chiesto se ne valesse la pena. Ha pensato di smettere, di mollare, di mandare tutto e tutti (anche i soldi di un contratto già firmato) al diavolo. Sarebbe stato il più giovane campione del mondo dell’era moderna a ritirarsi. L’ha fatto? No, ci ha provato ancora, andando forse contro se stesso, contro la sua volontà più istintiva, ma fidandosi degli altri che - come ripete ultimamente - “credevano in me più di quanto ci credessi io”.

Quest’anno i prodromi di una possibile ripresa si sono visti subito: nel Gran Premio inaugurale della Thailandia Joan bazzicava la top five nelle libere, i margini del gruppo di testa in gara, ma vanificava tutto con le ennesime scivolate d’anteriore. La disabitudine a lottare per certe posizioni faceva il paio con una Honda a tratti frizzante ma ancora molto acerba, ballerina: Joan è entrato in un altro vortice nero di cadute, ma soprattutto di sfortune. Basti pensare che nel 2025 è stato steso sei volte da altri piloti. Sei.
Poi è arrivato in Giappone. Ha sfoggiato un casco speciale in pieno stile “manga”. Si è qualificato direttamente in Q2, ad un minuto dalla bandiera a scacchi delle qualifiche era in pole provvisoria, nella Sprint ha sfiorato la medaglia di bronzo dopo averla fatta sudare a Marc Marquez. Oggi - col suo stile generoso, spettacolare, eccezionalmente scomposto - è stato l’unico pilota capace di scendere sotto al muro dell’uno e quarantacinque nella seconda metà di gara. Pensare che si è anche tenuto del margine all’inizio, quando seguiva Marquez e Acosta, per paura di subire un calo catastrofico del posteriore negli ultimi giri, che invece l’hanno visto staccare Bezzecchi e tenere il passo delle Ducati rosse che sputavano fumo. Al parco chiuso non si è commosso, ha nascosto le sofferenze del passato con un gran sorriso. Poi dosi extra di autoironia nelle interviste, sintomatiche di una persona che adesso sta bene con se stessa, che ha lasciato il peggio definitivamente alle spalle.
E allora bentornato Joan, bentornato davvero. Perché in tanti non ti aspettavano. Perché ora sei talmente elegante da non ridergli in faccia.
