C’è una frase latina per raccontare Marc Marquez, una frase di Cicerone rimasta celebre cent’anni prima di Cristo che si adatta perfettamente a tutta la sua carriera, dalla 125 a questa domenica di Motegi: Nihil inimicius quam sibi ipse, che per chi fosse stufo di sentirsi a Hogwarts o tra i fighetti del liceo si traduce con nulla ci è più nemico di noi stessi.
Di fatto, questa è la vera differenza tra Marc e buona parte dei grandi delle corse. Valentino ha corso contro Stoner, contro Lorenzo, contro Pedrosa. Di ognuno dei tre si potrebbe dire lo stesso. Bagnaia ha corso contro Jorge Martín e Fabio Quartararo e loro si sono confrontati con lui. A volte vinci, altre perdi.

Marc, tolta la parentesi di un anno in cui Andrea Dovizioso si è fatto quasi credibile per la lotta al titolo, ha corso soltanto contro sé stesso. Ed è una storia che si ripete da quand’era piccolino, in 125, quando all’Estoril rischiò di buttare via il mondiale per una scivolata che lo costrinse a partire dal fondo della griglia - con conseguente memorabile rimonta - per il primo dei suoi miracoli in mondovisione. Qualcosa di simile successe in Moto2 nel 2011: Marc cade in Malesia, gli viene diagnosticata la diplopia, lascia il mondiale a Stefan Bradl. Nel 2015 comincia a correre contro Valentino Rossi principalmente perché lui ormai quel mondiale non può più vincerlo, dato che nella prima parte della stagione si è steso troppo spesso. Altrimenti la velocità per farcela l’avrebbe avuta.
Un breve inciso: se Marc nel 2015 avesse corso senza interferire e ammesso che Valentino avesse vinto il titolo mondiale contro Jorge Lorenzo - il che è tutt’altro che scontato - oggi ricorderemmo il 2015 come il più grande ritorno della storia nello sport, oltre che al decimo mondiale di un fuoriclasse assoluto. Dopo la domenica di Motegi invece, il più grande rientro nella storia di questo sport è il suo. Una cosa su cui i diretti interessati avranno certamente rimuginato più di una volta.
Ma torniamo a Marc Marquez e al suo più grande limite. Dopo l’infortunio di Jerez 2020, nel pieno di un delirio di onnipotenza, Marc torna in pista con il braccio fratturato e l’idea di poter vincere anche con una mano sola: “Mi sento in pace”, ha detto oggi dopo la gara, perché non si sente più il responsabile della fine della sua carriera. Dopo il rientro a Jerez un’altra operazione, la placca, la storia della finestra, i problemi nella guida e per finire il quarto intervento chirurgico per la rotazione ossea alla Mayo Clinic in Minnesota, quando per la prima volta (Mugello 2022) Marc sembra mettere sul tavolo l’ipotesi del ritiro. Le cose però vanno bene e lo spagnolo torna a fuoco nel 2023, anche se a questo punto non c’è più la moto, demolita dalla sua assenza e da una serie di scelte sbagliate prese nel tempo. Al Sachsenring, dove lui per primo si sarebbe aspettato di tornare a vincere, finisce per terra talmente tante volte da pensare seriamente al ritiro in un’immagine storica che lo vede fissare un laghetto artificiale con la tuta impolverata. Così arriva la firma con Ducati, con la stessa drammaticità di una famosa vignetta di Andrea Pazienza che torna dai genitori, per un’ultimo giro di giostra prima di rassegnarsi al ritiro. Lo fa dapprima gratis con Gresini e poi Todo al Rojo, con Borgo Panigale.

Ecco perché la carriera di Marc non è come quella degli altri: i titoli mondiali che ha mancato da quando è in MotoGP li ha persi principalmente per colpa sua, il suo più grande avversario. Non c’è mai stato un altro pilota in grado di metterlo dietro arrivandogli davanti in pista, Marc ha fatto sempre tutto da solo. Anche quest’anno, forse il più glorioso della sua carriera in termini di risultati, Marc ha sbagliato quasi sempre da solo, incapace di accettare un piazzamento e di vedersi dietro a un rivale.
Probabilmente è questo è il segreto della sua stagione, del suo ritorno. Per quattro anni (2020, 2021, 2022, 2023) si è sabotato ed è rimasto dietro a guardare gli altri mentre la fame tornava la stessa degli inizi e la motivazione, assieme all’esperienza, cresceva. L’unico pilota in grado di fermare Marc Marquez era dall’altro lato del suo specchio, eppure ci era riuscito meglio lui di Quartararo, Bagnaia, Martín e chissà chi altro. Oggi è tornato a dominarsi, a vincere contro sé stesso, unico avversario da cui ha davvero dovuto accettare delle dure sconfitte e che probabilmente un domani tornerà a fregarlo perché è sempre stato così. Da un lato si potrebbe pensare che sia troppo facile, che Valentino e Casey e Jorge e chissà quanti altri gli avversari li hanno avuti sul serio, più a posto e più in palla mentre Marc ha dominato senza i fantastici quattro al loro apice, contro un compagno di squadra che non trova il feeling e un campione del mondo distrutto dagli infortuni. D’altro canto, Cicerone ci racconta che la sfida più dura è proprio quella lì, con lo specchio.