Tavulliesi in giro ne incontri pochi: non è una giornata normale. Qualcuno al lavoro, ma la stragrande maggioranza rintanata in casa, quasi a mantenere intime l’emozione, le sensazioni, le reazioni per l’annuncio più temuto: Valentino Rossi ha deciso di smettere. Un annuncio che in quel pezzo di terra tra le Marche e la Romagna tutti sapevano che sarebbe arrivato, ma le cose brutte, quelle che proprio non vorresti ascoltare, tendi ad ignorarle pure mentre te le dicono. Nel bar che porta il nome di Vale c’è gente, parecchia gente, ma pochi sono di lì: tanti motociclisti, qualche famiglia, un paio di papà con i bambini: “Appena abbiamo saputo della conferenza stampa ci siamo messi in macchina per arrivare qui”. Come un rito solenne e irripetibile che, in quanto tale, richiede il teatro giusto. L'unico immaginabile.
Le mascherine, per una volta, sembrano non aver coperto abbastanza, perché negli occhi di tutti c’è emozione. Lacrime per alcuni, neanche nascoste, incredulità per altri. Freddezza in nessuno. “Fosse stato per me avrei corso per altri venti, venticinque anni” – dice Vale ostentando serenità dai monitor sparsi ovunque, ma quella serenità non è contagiosa. E cala il gelo. Ma è un gelo caldo e che ha comunque il sapore del futuro. Tavullia resterà La Mecca del motociclismo e su questo nessuno ha dubbi, anche perché è lì che sta l’Academy, è lì che vivono Franco Morbidelli, Francesco Bagnaia, Luca Marini, Marco Bezzecchi e gli altri pilotini, chiamati a raccogliere ognuno un pezzetto di una eredità che è solo frazionabile. La tristezza, come ti spiegano le persone stesse mentre cercano di non far vedere che sì, stanno piangendo, è per la consapevolezza che al tempo non ci si può opporre. Nemmeno se sei Valentino Rossi, nemmeno se sulla tua strada sei diventato la figura che più si avvicina a un dio. Come un lutto da elaborare, ma senza lo schiaffo di un futuro negato. Perché il futuro ci sarà, avrà un’altra dimensione fondata su una certezza: Valentino Rossi è stato immenso in pista, ma è niente rispetto al ragazzo, anzi, all’uomo. E a Tavullia lo sanno bene. Al punto di vergognarsi quasi delle lacrime, ingiuste se considerate come segno di un disagio intimo dovuto ad un dover cambiare abitudine, ad un dover trovare nuove certezze in seguito a una decisione che, però, aveva il sacrosanto diritto di restare personale. E intima. Con l’orgoglio del “noi c’eravamo”, tipico dei tavulliesi come un led che te li rende riconoscibili a centinaia di chilometri, che adesso è pronto a trasformarsi in una più umana fierezza: quella del “noi ci saremo”. E' come se tutti, ieri in quel pezzo di terra tra le Marche e la Romagna, avessero trasformato le loro case in una sorta di motorhome, dove andare a rintanarsi, dove cercare la concentrazione prima di ripartire, dove metablizzare le novità mentre si indossano ancora tuta, stivali e guanti, pronti ad allacciare il casco e abbassare di nuovo la visiera. Per ricominciare a correre, su nuovi terreni, dentro altri cordoli. Nel primo giorno di un’altra storia!