Sembra di essere tornati all’84 sul circuito di Dallas, dove si ricordano le gesta incredibili di Nigel Mansell, che spinse la sua monoposto fino al traguardo fino a svenire per il caldo che aveva caratterizzato tutta la corsa. Piloti esausti, agonizzanti dentro e appena fuori dall’abitacolo delle loro monoposto, sbalorditi delle condizioni con cui erano scesi in pista preceduti dalle lamentele di Niki Lauda che li invitava al boicottaggio. Un racconto che oggi ci sembra assurdo, al limite dell’impossibile ma che, purtroppo, ha trovato un’analogia nella gara appena conclusa.
Il circus si è trovato a correre sul circuito di Losail per la seconda volta in tutta la sua storia, con un grande punto interrogativo sulle condizioni che poi avrebbe trovato una volta arrivato. Seppur le premesse non annunciassero un disastro, il risultato finale di questo gran premio è del tutto negativo, viste le condizioni dei piloti una volta tagliato il traguardo. Dopo i problemi riscontrati da Pirelli con gli pneumatici che si deterioravano eccessivamente visti l’asfalto e i cordoli, sono stati imposti degli stint non più lunghi di 18 giri, richiedendo ai team delle strategie particolari in un weekend dove non era nemmeno stato possibile studiare il tracciato visto il format sprint.
Con Max Verstappen scattato dalla prima casella della griglia i problemi non hanno ritardato ad arrivare e in parecchi hanno iniziato ad aprirsi in radio lamentando delle elevatissime temperature riscontrate in macchina che rendevano le condizioni di gara prettamente impossibili. Per tutta la durata della gara i piloti hanno cercato i modi più assurdi per cercare di raffreddarsi, tra chi apriva e chiudeva la visiera del casco appena possibile, a chi allungava le mani fuori dall’abitacolo in rettilineo per cercare di prendere un po’ di aria. Qualcuno ci scherza, come Fernando Alonso che parlando con il suo ingegnere chiede al box di tirargli una secchiata d’acqua durante il pit-stop, e chi invece deve arrendersi chiedendo aiuto al team, ritirandosi dopo tre quarti di gran premio per un estremo colpo di caldo in corso, come Logan Sargeant.
Si apre in radio disperato l’americano, al limite della sopportazione e con la vista appannata ma, allo stesso tempo, estremamente mortificato per il team. “Se non ce la fai, non vergognarti e torna ai box” gli dice Gaetan Jego, il suo ingegnere, quando lo vede praticamente fermarsi in pista in preda all’indecisione. Esteban Ocon invece si confida ai microfoni del media pen e racconta delle difficoltà incontrate fin dall’inizio, quando intorno al quindicesimo giro si è trovato in una delle situazioni più spiacevoli che possano capitare, vomitando nel proprio casco con gli stessi sintomi che si riscontrano quando si ha la più pesante delle influenze. Lance Stroll, con gli occhi di tutto il team addosso vista la sua condizione a rischio, spinge e dà tutto se stesso per arrivare fino alla bandiera a scacchi, ma quando poi riesce finalmente a scendere dalla sua Aston Martin barcolla, si piega in due e quasi sviene mentre cammina come riesce fino all’ambulanza più vicina. È solo dopo, quando torna in sé, che racconta anche di essere svenuto in macchina.
Raccontare di queste situazioni fa quasi strano, perché si tratta di casi al limite dell’impossibile che, dati i livelli a cui si trova la Formula 1, non ci si aspettano minimamente. E invece, una volta terminato il Gran Premio del Qatar non si parla del terzo mondiale di Verstappen o del doppio podio della McLaren, ma ci si interroga, ancora una volta, sulla sicurezza di questo sport.
Non c’è stato un pilota che non abbia riscontrato difficoltà, che non sia subito corso - per quanto possibile - dal proprio preparatore atletico a fine gara per poi farsi accompagnare al centro medico. Ma ne vale davvero la pena? Mettere a repentaglio la salute dei piloti per non rinunciare a una gara, ignorare team radio disperati per continuare a correre, vedere il sudore e le lacrime una volta sulla linea del traguardo che testimoniano la fine di un’impresa folle. È difficile anche eroicizzare il gesto di Logan Sargeant che, nonostante il suo sedile ancora da confermare e la stagione poco brillante, si è arreso ritirandosi dalla gara perché viene quasi spontaneo capire che era l’unica scelta che potesse fare.
In un’epoca in cui la sicurezza in uno sport come la Formula 1 viene messa al primo posto non dovrebbero esistere dei postumi di gara come questi. L’unica nota di consolazione che fa auspicare a delle scelte più ragionevoli future la troviamo nel calendario del prossimo anno, dove il Qatar accoglie il paddock del pinnacolo del motorsport nel primo weekend di dicembre, con delle temperature teoricamente più vivibili. Ripensando a quello che abbiamo visto si può solo essere grati del fatto che niente sia sfociato in qualcosa di estremamente grave augurandoci che delle situazioni del genere non si presentino mai più.