Non è questione di preparazione fisica, di attitudine o di resistenza. Non è neanche solo questione di caldo, temperature e umidità. Dietro al disastro del Gran Premio del Qatar, nella follia di decine di piloti della griglia distrutti e disidratati dopo la fine della gara, c'è molto di più. C'è un sistema di gestione del weekend della massima serie che dimentica le priorità e trasforma in show in pericolo.
Si parte con Logan Sargeant costretto al ritiro, debilitato fisicamente, impossibilitato a concludere la gara sulla sua Williams. Sono i suoi uomini del team a invitarlo a rientrare ai box, a dirgli "va bene così, non devi sentirti in colpa", lui che vuole il suo sedile per il prossimo anno, rookie sotto osservazione, che tenta di dare il tutto per tutto ma è costretto a cedere: il fisico non regge, il ritiro è necessario. Poi è il turno di Lando Norris e George Russell che, inquadrati negli on board sul rettilineo di gara, alzano le mani dal volante per far passare un po' di aria fresca e trovare sollievo.
Ce la fanno, ad arrivare alla fine, ma scesi dalle monoposto non si reggono in piedi. I tre piloti sul podio, chiamati alle interviste, faticano a rispondere e sostenersi sulle proprie gambe, rossi in volto, bagnati dal sudore. Oscar Piastri si sdraia nella stanza del retropodio, visibilmente distrutto. Alle loro spalle, inquadrati tra on board e riprese televisive, molti altri piloti appaiono a pezzi: Lance Stroll riesce a uscire dalla monoposto ma, barcollando, si dirige verso l'ambulanza per essere portato al centro medico, lo segue Alex Albon, trasportato dai dottori per curare una pesante disidratazione. Norris, nelle interviste post gara, ammette: "Molti piloti al centro medico sono svenuti". Metà griglia sta male, in un paddock che suda con loro.
Poi arriva la dichiarazione di Esteban Ocon che, ai suoi uomini via radio al termine del Gran Premio, spiega di aver vomitato durante la gara, al quindicesimo giro, e di aver comunque continuato a correre fino alla fine. Si è vomitato nel casco, Esteban Ocon. E così ha corso per più di metà della gara. Non è la situazione di un pilota, un caso isolato. Non è la solita fatica che siamo abituati a vedere sul volto dei piloti dopo weekend di gara come Singapore o Qatar. Questo, questo post gara, non è normale. Pericoloso e senza senso è al centro della polemiche delle ultime ore, in un clima di grande rabbia da parte del pubblico.
Sarà la FIA, federazione che da sempre gestisce la sicurezza in pista, a dover dare delle spiegazioni, a dover rispondere alle domande di chi si chiede "come sia potuto succedere". Alla base del disastro ci sono le normali difficoltà dei piloti di Formula 1 in situazioni di caldo estremo: le tute ignifughe che non lasciano uscire il sudore e che aumentano il malessere dei piloti, l'impossibilità di bere molto e a lungo per la poca quantità di acqua a disposizione nell’abitacolo e la velocità con cui questa si scalda nel corso dei giri, rendendo impossibile dissetarsi dopo la metà della gara, la temperatura dell'abitacolo che continua ad aumentare, arrivando a farli sentire - dicono i protagonisti - "come dentro ad una sauna".
Ma perché quest'anno Losail ha presentato queste condizioni estreme? Il primo problema è la posizione in calendario del Gran Premio: nel 2021, ultima gara in Qatar per la F1, si era corso il 21 novembre, in un clima decisamente più mite, così come si farà il prossimo anno, quando la massima serie sbarcherà a Losail il 1 dicembre. Anche la MotoGP, consapevole delle temperature problematiche della zona, sceglie una data più consona per l'appuntamento del motomondiale: solitamente a marzo, all'inizio della stagione, mentre nel 2023 a fine novembre per i lavori di ristrutturazione della pista da poco conclusi.
Il secondo problema è da far ricadere nella decisione, confermata nella giornata di oggi, di procedere con l'obbligo di tre pit stop in gara per evitare possibili forature dopo i dati raccolti da Pirelli nella giornata di venerdì. Una scelta di sicurezza che ha causato però un Gran Premio ad altissima intensità in cui i piloti non hanno mai dovuto gestire le gomme ma hanno sempre spinto al limite delle loro prestazioni tra un cambio gomme e l'altro. Una situazione che porta, spiega Leclerc nel post gara, a "una frequenza cardiaca alle stelle e un controllo molto più difficile". Più intensità, più sforzo, più fatica. Il tutto in una pista già molto veloce come quella del Qatar che, in particolare nell'ultimo settore, richiede grande sforzo fisico.
L'unione di questi fattori, unito al weekend fisicamente più faticoso della sprint race, con due gare e due qualifiche in meno di tre giorni, ha dato il via a una reazione a catena di eventi che ha portato ai risultati - evidenti - sulla pelle dei piloti. Una prova di forza inutile, qualcosa di "simile all'inferno" confessa Verstappen, tra pericolo e paura in un tempo di ostentata grande attenzione alla sicurezza in pista.