Settembre, sole, calore che sale dall’asfalto del Tazio Nuvolari. La pista si snoda nei pressi di Cervesina, a qualche metro dalla sponda meridionale del Po, lì dove il confine tra Bassa ed Alta Padana è sottile e labile. Come la differenza tra cadere e restare in piedi, tra provare e rinunciare. Quindici ragazzi disabili salgono in moto per la prima volta dopo l’incidente che li ha fisicamente menomati. Uno di loro, il più giovane, ha 22 anni e in sella non c’è mai stato; “Proverai con le Pit Bike sul tracciato dei kart, insieme al tuo istruttore di oggi” - gli dice Emiliano Malagoli. Perché la filosofia Diversamente Disabili, onlus pensata e creata da Emiliano, è chiara ed efficace: l’allievo con una protesi alla gamba impara dal maestro con lo stesso tipo di disabilità.
Gli istruttori, Emiliano compreso, sono piloti professionisti. Corrono nel campionato nazionale paralimpico, alcuni in quello europeo. Dal 2013, anno di fondazione della onlus, sono stati coinvolti grazie alla determinazione di Emiliano, che li ha convinti a tornare prima in moto e, successivamente, in pista. Anche loro, come tanti altri, sono ripartiti da queste giornate di prova, gettando le basi per portare in sella – nel corso del tempo – più di 500 ragazzi con differenti disabilità. Perché di questo si occupa Diversamente Disabili: aiuta a riprendere le redini di una passione dal punto di vista pratico, burocratico e psicologico. Passione come unico strumento per alleggerire, esorcizzare, superare il trauma. Emiliano è affiancato dalla moglie Chiara Valentini, che è dappertutto. Nell’organizzazione, nei rapporti con stampa e sponsor, nel trasporto di moto e merci da un circuito all’altro. Ha un sorriso per tutti, così come Silvia Fornasin, il suo braccio destro. “Io faccio back office” – mi dice Silvia, che in realtà va in giro a regalare un pizzico del suo spirito frizzante a chiunque incontri. Una dose motivazionale di energia, ironia, consigli di guida e prese in giro. Altro che back office. “Vengo dal Friuli, non so se ce la farei a vivere in questa pianura, tutta uguale, stamattina arrivando in circuito ho rischiato di perdermi. Vi ammiro a voi della Pianura”, continua lei. “E non c’è ancora la nebbia, Silvia”. Diversamente Disabili è espressione della forza di volontà di Emiliano, Chiara e Silvia. Parte tutto da loro e da BMW Italia, che attraverso SpecialMente, progetto di responsabilità sociale d’impresa, supporta l’associazione in diverse iniziative. Come questa giornata di prove a Cervesina, alla quale partecipano una trentina di volontari.
Emiliano, dopo il suo incidente, ha capito che per superare la burocrazia italiana, e consentire a portatori di handicap di riprendere la patente per la moto, avrebbe dovuto omologare quattro moto diverse, ciascuna appositamente modificata per ogni tipo di disabilità. Chi soffre di una lesione alla gamba destra si ritrova il freno posteriore “a pollice” sul semimanubrio, come in MotoGP. Con una protesi sulla gamba sinistra, invece, una pulsantiera posizionata a ridosso della leva della frizione, collegata ad un pistone elettroattuato, sostituisce il cambio tradizionale. “Altrimenti – mi suggerisce Chiara – il cambio, non su strada ma solamente su pista, può essere trasferito sulla destra”. In mancanza del braccio destro, intuitivamente, freno e manopola del gas vengono spostati sul semimanubrio sinistro, utilizzando una cambiata seamless. Con il braccio sinistro amputato si possono avere due soluzioni: o una doppia leva sul semimanubrio destro (frizione e freno anteriore) o una frizione a pedale al posto del freno posteriore, nuovamente modulabile a pollice. Le protesi per gli arti inferiori sono agganciate alle pedane attraverso un sistema ad incastro, così come quelle per gli arti superiori vengono “allacciate” ai semimanubri. In caso di caduta le protesi si staccano automaticamente dalla moto. Ai ragazzi paraplegici, invece, non è consentito prendere la patente per la moto, ma con Diversamente Disabili possono guidare in pista. E gareggiare. Come fa Alex Innocenti, istruttore del gruppo “Para”, e diretto rivale di Emiliano per la conquista del campionato europeo. I due si giocheranno tutto a Jerez a metà ottobre. Al Tazio Nuvolari, però, giocano di squadra. E a vederli insegnare in sintonia, tra battute e risate appassionate, viene difficile immaginarseli avversari.
Il gruppo Para, a proposito. Sono in cinque, tutti tra i 25 e i 50 anni. In mattinata Alex li accoglie nel paddock di Cervesina. Il parcheggio, sgombro dai motorhome, è perfetto per fare campo pratica; slalom tra i birilli ed esercitazioni di frenata tra i cinesini. La paraplegia impone la realizzazione di un accorgimento che consenta ai motociclisti di fermarsi e stabilizzarsi in sicurezza. Per questo motivo, sul retrotreno, si innesta un carrellino automatico, simile a quello per l’atterraggio degli aerei. Viene aperto quando ci si ferma ed alzato in partenza, premendo l’apposito pulsante sul dashboard. Il gruppo Para, successivamente, deve fare i conti con due grandi problematiche: equilibrio e paura, interconnessi tra loro. I ragazzi con questo tipo di lesione mantengono le gambe sempre ancorate alla moto, attraverso una fascia che avvolge ginocchia e caviglie attorno a serbatoio e carena. Gli allievi di Alex, per la prima volta in sella dal giorno dell’incidente, provano inizialmente con il sostegno di due rotelloni modello triciclo, aggiunti a fianco dello pneumatico posteriore. È un supporto del tutto psicologico, volto a circoscrivere la paura almeno nella fase preliminare.
Dopo un’ora Alex spinge per togliere i rotelloni. “Io senza rotelle non ci vado, ma stiamo scherzando?” – commenta Sofia. Lei è l’unica ragazza tra i 15 allievi di Cervesina, torna in moto a distanza di 5 anni dall’incidente. Anche gli altri quattro sono spaventati. Attendono il loro turno con la mandibola contratta e la tensione negli occhi. “Vedrete che vi sentirete molto meglio. Sarà tutt’altra sensazione” – assicura Alex. Via le rotelle, bastano venti secondi di adattamento per sciogliere la preoccupazione e dimenticare il modello triciclo. Dalle visiere alzate degli allievi, che vogliono sentire l’aria in faccia, filtra una luce nuova. I movimenti sono più rilassati, i cambi di direzione tra i birilli più fluidi e, nel paddock del Tazio Nuvolari, compaiono i primi sorrisi decisi della giornata. Tutti, finalmente, sentono di essere tornati in moto.
A pranzo si mangia tutti assieme, all’interno dei box. Tra un boccone e le analisi tecniche della mattinata, c’è tempo per la prima foto di gruppo: “Cheese, su le mani” la voce del coro. “Chi le ha!”, incalza fuori campo il gruppo dei piloti-istruttori, capitanato da Emiliano. Il clima, prima di scendere in pista, è ideale. Alex Innocenti precede i suoi allievi tra le curve di Cervesina, mostrando linee, traiettorie punti di corda e di frenata. Un istruttore federale, invece, chiude il gruppo Para assicurandosi che nessuno rimanga indietro. “Vado troppo forte?” – la domanda di Alex al termine del primo stint viene ribattuta da un poderoso e plateale “No!”. Sofia e colleghi, che due ore prima, per la questione rotelle, avrebbero preferito abbandonare la provincia di Pavia, ora parlano di staccate, pieghe e velocità a centro curva. “Ma tu Alex come fai a piegare così?”. Come riescano questi ragazzi a danzare per la pista, adoperando solo busto e braccia, resta effettivamente un mistero. “Vado dove guardo, ve lo ripeto da stamattina. Puntate gli occhi verso l’uscita di curva, non guardate l’anteriore della vostra moto che si avvicina ad una buca, altrimenti la prenderete. È la stessa cosa di qualche ora fa, quando facevamo campo pratica, vi ricordate? All’inizio degli slalom fissavate i birilli, centrandoli ovviamente. Poi avete capito che bisognava focalizzarsi sullo spazio tra un birillo e l’altro, e siete andati meglio” – Alex la spiega così.
E ha ragione. Vado dove guardo. Da piccoli, sulle macchinine elettriche del parco giochi, i genitori gridano: “Guarda dove vai!”. È un monito volto ad alzare il livello dell’attenzione, un rimprovero che – crescendo – viene puntualmente ripetuto in caso di errore al volante, in sella. “Vado dove guardo” significa in fondo la stessa cosa, ma inquadrata da una prospettiva totalmente diversa. Vuol dire evitare gli ostacoli e i problemi senza attribuire a questi un’importanza eccessiva. Vuol dire superarli pensando al bello, all’opportunità che – seppur nascosta– si cela dietro alle difficoltà. Oltre le difficoltà. Questi ragazzi vanno oltre. Sofia, prima di infilare il casco per l’ultima uscita della giornata, sbircia il telefono. Le prime immagini sono arrivate, la raffigurano in piega tra i cordoli del Tazio Nuvolari. Le scappa una risata. Una risata di gusto.