Valentino Rossi è un fuoriclasse, ma sarà sempre una rockstar. Di quelle che non suonano, motivo per cui non ti puoi sbagliare a identificarle. Come Bukowski e Caravaggio. Come John McAfee, John DeLorean, Gregory David Roberts e Hunter S. Thompson. Come Maradona.
Personaggi irregolari e irripetibili senza lo stampo. Personaggi su cui è possibile fare una mezza dozzina di film senza mai raccontare la stessa cosa. Valentino è ancora più raro perché oltre ad essere una rockstar è un fuoriclasse, tra i migliori di sempre: vincente come Agostini, esagerato come Lucchinelli e tutto da solo.
È una rockstar perché ha cambiato il motociclismo mandandolo al doppio della velocità, svecchiandolo di vent’anni in un giro di pista. La Schiffer al Mugello, le impennate nac-nac, le dichiarazioni nel dopo gara. Ma anche gli animali sulla moto, l’orecchino per sembrare giapponese e le feste in Spagna. Valentino che torna nel paddock la notte di sabato, massacrato come ogni ventenne, per vincere di misura la domenica in sella ad un missile da 300 Km/h. Come una rockstar. Il pubblico è arrivato in fretta, moltiplicandosi negli anni perché lui lo andava a prendere dal televisore, trascinante come Vasco alla radio. Emozioni che arrivano talmente forte che puoi odiare, c’è chi lo fa a dismisura, ma l’indifferenza è impossibile.
Comunque. In parte è finita ed in parte non finirà mai, ma per una buona fetta delle persone che sanno chi è Valentino Rossi l’unica cosa che resta da fare è andarsene. Ritirarsi, lascare le moto a qualcun altro e godersi la pensione.
È la strada giusta per un fuoriclasse, una strada che quest’anno si sono trovati costretti ad intraprendere Roger Federer e Federica Pellegrini. Valentino però è una rockstar, non è solo un atleta. E come tale deve rendere conto anche al pubblico. Quel pubblico da concerto, innamorato, che a fine concerto ne vuole ancora. Fanne una, fanne due. Fanne anche cinque ma torna sul palco dopo quella canzone malinconica con cui avevi annunciato la fine dello show.
È una cosa talmente naturale che ormai i musicisti lo fanno di proposito. Se ne vanno nel backstage, aspettano di essere chiamati ad uscire di nuovo dopo un pezzo spento. “Seee non fai l’ultimo - noi non ce ne andiaaamo, seee non fai l’ultimo - noi non ce ne andiamo”. Davvero vuole lasciare così placidamente, così sottotono? È una rockstar, deve fare casino. Andarsene tra le urla, non nel silenzio. La sua gente, dagli amici di sempre ai piloti dell’Academy, lo vorrebbe ancora in pista. Anche il principe saudita, dalla sua posizione privilegiata, chiede un bis, a giorni lo farà davanti al mondo.
Un ultimo guizzo spingendo con l’idea che poi ci sarà solo la calma, dando tutto finché non ti devono caricare su di un autobus che hai ancora il fiato corto. Andarsene così, dopo un anno buio e lontanissimo dalle emozioni di sempre, sarebbe giusto per un atleta. Non per uno che, quando esce dai box, te ne accorgi per i boati che si sentono dalla sala stampa, dalla televisione e dal prato intorno al circuito.
Valentino Rossi è una rockstar e deve dare un bis al pubblico. Chiudere come ha iniziato, in una maniera tutta sua. Tra la gente che urla e piange, lui che urla e piange, i titoli sui giornali tutte le domeniche. Sull’ultima a Misano, ad Assen, a Phillip Island. Stavolta, forse la prima, senza l’intima speranza di vincere il titolo. Godendo della moto e del pubblico, soffocante per strada ma importantissimo nei circuiti.
Valentino è una rockstar, se non fa l’ultimo la gente non se ne va.