Uno non ha ancora imparato ad accontentarsi, l’altro sembra essersi dimenticato di quando non si accontentava. Risultato? Uno steso (e per ben due volte) e l’altro undicesimo. Marc Marquez e Valentino Rossi - così maledettamente lontani dopo quel maledetto 2015 ma così maledettamente vicini nei panni degli unici due fenomeni indiscussi della storia recente delle corse in moto - dovrebbero provare a scambiarsi i difetti. Difetti che, magari, non sarebbero neanche tali per piloti normali, ma che lo diventano quando si prende coscienza che uno, Marquez, è reduce da un infortunio che ha rischiato di spezzargli la carriera e viene da un anno di stop e l’altro, Rossi, è agli ultimi spari e deve riuscire ad imporre la zampata della gloria, quella che, alla fine di una carriera stratosferica, lo consacrerebbe definitivamente. A Le Mans, durante il GP di Francia, è stato palese.
Perchè Marc Marquez, dopo che la pioggia ha fatto la sua comparsa al Bugatti Circuit, si è meritatamente ritrovato in testa, ha spinto come spinge un campione e, poi, è finito a terra, cadendo tra l’altro sul braccio malandato. E’ stato eroico, sia inteso, soprattutto per noi che siamo innamorati persi di quelli che mettono il cuore davanti a ogni cosa. Ma forse, valutando il contesto e lo scenario, se Marc Marquez si fosse accontentato avrebbe portato a casa qualcosa di un pochino meno eroico, ma doppiamente tangibile. Anche perché dopo quella caduta s’è rimesso in sella ed ha cominciato a spingere come un forsennato. Anzi, come un Marc Marquez e gli è successo di nuovo, proprio mentre rimontava di brutto e s’era portato abbondantemente in zona punti.
Dispiace, perché l’aveva detto anche lui stesso: “sulla pioggia potrei giocarmi la vittoria o una caduta”. Insomma, ce lo sapeva, ma ha comunque scelto di fare il Marquez in un momento in cui, paradosso dei paradossi, avrebbe forse dovuto fare il Valentino Rossi. In che senso? Nel senso che Valentino Rossi ha fatto esattamente la gara opposta: partito abbastanza bene, s’è trovato inguaiato nel pasticcio tra Morbidelli ed Espargarò e, poi, è come se si fosse accontentato di garantirsi solo il passaggio sotto la bandiera a scacchi.
In qualche modo, sia chiaro, è stato eroico anche lui. Perché non era facile oggi a Le Mans e perché la lista delle cadute è stata lunghissima e ricca di nomi illustri. Ma non si può non tenere conto che, oggi come oggi, e sul finire di una carriera che non potrà durare ancora in eterno (se anche non dovesse smettere nel 2021, succederà verosimilmente nel 2022), a Valentino Rossi nessuno, neanche il suo tifoso più cieco, chiederebbe di vincere un mondiale, ma di provarci a vita persa ogni volta che si può. Quelle rare volte in cui si può. A 42 anni, dice qualcuno, non hai più la testa dei 20. E’ vero e l’evoluzione sportiva di Valentino Rossi lo conferma, senza che questo significhi necessariamente qualcosa di negativo. Anzi. Però, romanticamente, e se si potesse, sarebbe figo pensare a Valentino Rossi e Marc Marquez che si guardano negli occhi, si danno la mano e si scambiano un dono (che poi un dono non sarebbe). Con Marquez pronto a regalare a Valentino un po’ della sua “furia attira guai” e Vale pronto a regalare a Marquez un po’ della sua “calma allontana guai”. Uno non l’avremmo visto cadere e l’altro l’avremmo visto un pochino più avanti in una giornata in cui arrivare più avanti si sarebbe potuto (Petrucci docet). Magari prendendosi pure a sportellate l’uno con l’altro, fino ad essere ancora rivali …nella contingenza di due momenti personali che, almeno nei contorni, sembrano comuni.