Porterà il cappellino alla pescatora con il 46 quando si presenterà a Tavullia? Viene da chiederselo leggendo un’altra storia che arriva dalle corse in moto, ma che non parla solo di corse in moto, ma di un intreccio di idoli, di vita, di uomini e moto veloci che si sono incrociati, persi per sempre e ritrovati dietro a visi diversi. Visi invecchiati e anche visi nuovi proprio, ma con lineamenti che non possono confondere. Che storia? Quella di Maiki Abe, il figlio di Norifumi, che sarà tra i pilotini ospiti del VR46 Master Camp. Un ragazzino che incontrerà il suo idolo, sapendo che suo babbo, che nel frattempo non c’è più, è stato l’idolo proprio del Dottore. Eccolo l’intreccio di idoli, difficile pure da raccontare senza finire col ripetersi. Perché il cappellino alla pescatora, ormai quasi tre decenni fa, lo portava proprio Vale, con la scritta Rossifumi, come tributo a quel pilota giapponese tutto colorato che dava gas a mani piene e senza avere paura di niente. Sangue da pilota, anima da samurai.
“Rossifumi? L’ho scelto perché Norifumi Abe mi faceva impazzire, così ho giapponesizzato il mio comunissimo cognome italiano – a raccontarlo era stato proprio Valentino Rossi, prima ancora che il suo nome diventasse leggenda - Quella sua prima gara a Suzuka nel 1994 mi ha dato una grande motivazione a diventare un pilota. Sono stato fortunato perché più tardi ho gareggiato contro di lui. Abbiamo lottato più volte, ricordo a Jerez nel 2001 abbiamo combattuto per la vittoria. Ho molti grandi ricordi di Norick e devo dire grazie a lui perché è stato il mio stimolo più grande. Conservo gelosamente una foto con lui che mi ero fatto autografare”. Adeso quella foto, probabilmente, finirà staccata dal muro e tra le maini di Maiki, come una carezza che arriva da una storia e da un qualche luogo non definito in cui il destino compie i suoi disegni. Per finire, appunto, nella piccola Tavullia, durante un evento che è di formazione per piloti giovanissimi, ma che è anche di passione tra la terra del Ranch e l’asfalto della pista.
Perché Maike Abe, e il marketing non c’entra proprio niente, ha deciso di seguire le orme di suo babbo, ha deciso che le moto non gli hanno tolto un padre (visto che Abe è morto proprio mentre era in sella, su una strada normalissima, in mezzo al traffico e dopo una vita ai 300 orari in pista), ma gli hanno regalato una ragione e un obiettivo. Senza scomodare i sogni. Anche se ai sogni ci penserà sicuramente, quando potrà condividere il gas con Valentino Rossi, quando potrà carpire qualche segreto a un idolo che a sua volta aveva suo babbo come idolo. Perché qualcuno, tempo fa, ha detto che certi legami il destino li riproporrà comunque sempre, rimettendo davanti le persone o ciò che sono diventate nel frattempo. Dentro una di quelle storie che, ancora una volta, ci ricorda perché non ci siamo stancati mai un istante di vivere il motorsport, nonostante i quasi trent’anni da quando eravamo ragazzini anche noi e ci siamo innamorati delle corse in moto, grazie anche a quel biondino strampalato con la scritta Rossifumi tutta colorata sul cappello alla pescatora.