Valentino Rossi alla 500 Miglia di Indianapolis non ci sarà, ma è bastato poco per sognare a occhi aperti. Giusto una manciata di parole, quelle di Jenna Fryer dell’Associated Press: stando a quanto riportato, il Dottore sarebbe stato contattato da Zak Brown, il CEO della McLaren, con l’idea di fargli prendere parte al Greatest Spectacle in Racing, quello che ogni anno anima il catino più famoso al mondo. E adesso, dopo quanto rivelato da Fryer, si capisce perché, a inizio anno, Brown aveva dichiarato ad Indystar di voler organizzare un test per un rookie speciale, senza però rivelarne il nome.
Un’operazione top secret che sarebbe stata incredibile, più di tutte le altre. Alla fine, però, sulla quarta Dallara Chevrolet schierata dai papaya ci sarà Ryan Hunter Ray, soprannominato Captain America e che a Indianapolis ha trionfato ormai undici anni fa, nel 2014. Al suo fianco i tre titolari, il messicano Pato O’ Word, lo stesso che proprio a Città del Messico era sceso in pista con la MCL39 nel corso delle prime libere del fine settimana di Formula 1, il danese Christian Lundgaard e il giovanissimo americano Nolan Siegel.
Un colpo in perfetto stile papaya, la squadra che più di tutte in occasione della 500 miglia ha saputo stupire: nel 2017 aveva portato per la prima volta oltreoceano Fernando Alonso, che peraltro in quell’edizione la vittoria l’ha persino sfiorata, ma poi costretto al ritiro a causa di problemi al motore Honda; nel 2023, invece, aveva riportato in pista un’altra icona dell’Indiana, Tony Kanaan, che a Indy aveva trionfato nel 2013; infine, sia nel 2024 che nel 2025, aveva tentato l’impresa con Kyle Larson, due volte campione della NASCAR Cup Series, nel 2021 e nel 2025.
Eppure, sarebbe stato tutto complicatissimo: Rossi su una monoposto, non per gioco, ci è salito poche volte, sempre con la Ferrari: prima nel 2004 quando, dopo aver impressionato in dei test, si era persino pensato a un debutto in F1 seppur non con la Scuderia, ma in Toro Rosso; poi nel 2008, al Mugello. Infine, c’è stato qualche giro anche su una Mercedes nel 2019, la stessa che con Lewis Hamilton al volante aveva dominato in Formula 1. Era sempre stato velocissimo, ma Indianapolis è tutta un’altra storia: 200 giri tutti in senso antiorario, a velocità medie inimmaginabili - il record in qualifica realizzato da Scott Dixon, nel 2022, è di 376,5 km/h - e con un livello di rischio elevatissimo.
Una sfida che ha spaventato in molti, ultimo fra tutti Max Verstappen che, nel 2022, l’aveva detto senza mezzi termini: “Ammiro i piloti, ma non voglio rischiare la vita”, le stesse parole che, più di vent’anni fa, pronunciò anche Michael Schumacher. Eppure, la prossima stagione uno Schumacher in griglia potrebbe esserci: poche settimane fa, infatti, Mick ha effettuato un test - seppur non su ovale - per valutare un possibile impegno nel 2026. Per Rossi, invece, la vittoria della 8 ore di Indianapolis conquistata proprio quest’anno con BMW M4 GT3, bissando il successo ottenuto in MotoGP nel 2008, potrebbe essere destinata a rimanere l’unica impresa a stelle e strisce della propria carriera. Eppure, sempre sognando, con le macchine si corre anche a Daytona. E chissà che il 2026 non possa portare un nuovo obiettivo.