C’è chi dice che è sempre stato un suo tifoso ma che adesso basta. Che è brutto vederlo così. C’è chi scrive che non sarà lui a decidere di smettere, ma Petronas a metterlo alla porta. Si parla tanto attorno a Valentino Rossi in quella che, dal 1996, è la stagione più nera di sempre. Per lo spettro del ritiro, delle cose che invecchiano fino a farsi brutte.
Per qualcuno è come vedere un genitore che di colpo è più fragile del figlio, in un processo che niente può fermare. C’è chi dice che non dovrebbe essere sereno dopo essere arrivato sul podio degli ultimi. Terzultimo, penultimo, quartultimo. C’è chi chiede di non vedere più questo spettacolo perché ormai si è fatto doloroso. E c’è anche chi protegge Valentino Rossi come fosse un principe dell’antica Roma che gioca coi figli degli schiavi, mettendolo in una teca di vetro alla stregua di un bimbo che si ammala facilmente.
Chi vuole può regalargli un po’ d’affetto, però. Perché la grandezza di Valentino Rossi è la stessa di babbo natale: stupire oltre ogni previsione, emozionare, scrivere un pezzettino di storia di proprio pugno. “Aspettate ragazzi, la scriverei così. La farei un po’ diversa. Ecco, così va meglio”. Dalla prima uscita in moto, quando cadde dopo due curve e al muretto dei box si chiesero se non fosse stata un’idea malsana quella di prendere il figlio di Graziano.
Poi le gare vinte in rimonta, quando si diceva di Valentino che è un animale da gara. Che trova ‘qualcosina’ nel warm-up, che fa un passo in avanti quando gli altri ne fanno tre indietro. Che vince anche quando è dato perdente e perduto. Valentino sta ancora stupendo, anche se non ce lo ricordiamo più. Perché sul podio di Jerez c’erano due dei suoi piloti, quelli a cui secondo qualcuno sta togliendo il posto. E mentre gli altri sono costretti a lasciare, la VR46 lancia una squadra vera in MotoGP, di quelle costruite per fare bene.
Anche parlare così però suona come un epitaffio, quindi malissimo.
Vogliamoli bene a Valentino Rossi, ma senza ricatti. Senza pensare che l’affetto gli sia dovuto per quello che ha dato al motociclismo e all’Italia. Senza sbattere sul tavolo i suoi numeri mostruosi, le invenzioni, l’estro. Vogliamoli bene perché è bello vederlo lì, per il 46 giallo, per i rituali prima della gara e per quello che dice. Perché Valentino Rossi è un pilota di cuore, ed anche se adesso ha perso il passo gara gli è rimasta la leggerezza dei vent’anni. La leggerezza di uno che in fin dei conti è lì per sé stesso e che crede che la vita sia qualcosa di bello. Di divertente, anche. Magari se ne inventerà un’altra per andare più forte, magari no.
Quello che è certo è Valentino ha stupito sempre e riuscirà a farlo ancora. E sarebbe un peccato se assumesse soltanto la sfumatura della smentita e non dell’impresa.