“Se avessi lavorato da giovane quanto ho lavorato da adulto, probabilmente avrei raggiunto altri record” – E’ un Valentino Rossi cinico verso se stesso, ma tutt’altro che amaro, quello che si è raccontato a SportWeek in una lunga intervista rilasciata a poche ore dal suo addio alla MotoGP.
Un addio che, inevitabilmente, ha segnato un analisi del tempo passato e dei suoi 26 anni nel motomondiale, con l’inevitabile paragone con Giacomo Agostini e il record di vittorie che il Dottore ha mancato di pochissimo. ““La verità è che non ho mai corso per i record” – ha spiegato Valentino. Come se i numeri fossero qualcosa a cui non pensi mentre li fai e come se battere l’avversario del momento, per lui, fosse più importante che raggiungere record fatti da chi non era più in pista da anni. “Se ci avessi messo gli sforzi degli ultimi dieci anni – aggiunge però il dottore - nei primi avrei vinto di più. Ma da giovane sei una testa di cazzo e con l’esperienza impari di più“.
Giudizio severo, quindi, ma inappuntabile. Perché alla fine dei conti è la storia di tutti e, inevitabilmente, anche di chi ha scritto la storia delle corse in moto. Il 2015, non lo ha mai negato, è il rospo che Valentino Rossi non riuscirà mai ad ingoiare, ma questo non gli nega di ammettere che qualche vittoria, qualche podio e forse anche un mondiale, è stato lasciato per strada per i classici, e umanissimi, errori di gioventù.
“Le motivazioni della mia carriera – ha concluso - sono dipese fortissimamente dai miei rivali. Ho avuto la fortuna di confrontarmi con due generazioni di campioni: all’inizio Biaggi, Capirossi e Gibernau ed ero il giovane che arriva e vuole battere i grandi. Poi nella seconda parte della mia carriera ne ho trovati altri ancora più forti: Lorenzo, Stoner, Pedrosa, Marquez. E stavolta ero il vecchio che volevano fregare“. E’ stata la sua sfida ed è stato ciò che gli è interessato davvero, al di là dei numeri e della consapevolezza che con la maturità e l’esperienza di oggi, forse avrebbe scritto anche qualche record in più.