Valentino Rossi parla di Giulietta e dell’essere padre: “Una sensazione nuova – le sue dichiarazioni riportate dal Giornale – unica. La bambina è bella, simpatica, ha un buon carattere. È tranquilla come me e Francesca. Dà gusto. La desideravo, sono abbastanza grande, era anche il momento giusto e questa cosa casuale di smettere con le moto e diventare babbo è stata di un tempismo bellissimo. E Francesca è una grande mamma”.
Il Dottore ha smesso con la MotoGP, ma grazie a Giulietta si è preso comunque per un po’ la scena dell’esordio: “Sì sì, è vero. È nata il venerdì mattina delle prime prove libere in Qatar. E mesi prima, quando Francesca mi ha detto di essere incinta, era proprio il periodo in cui stavo pensando di smettere. Così l'ho preso come un segno del destino. Non ho smesso per questo però, se fossi stato competitivo avrei continuato anche da papà”. E a questo riguardo Rossi smentisce (a parole, non potendolo più fare nei fatti con un metro di paragone nelle moto) la tesi di Enzo Ferrari secondo la quale diventando padre si perde automaticamente un secondo al giro.
Il primo Gp da ex Valentino l’ha visto in ospedale con Giulietta: “È nata venerdì alle 4.00 di mattina. Quel giorno avevo anche le prove in pista con l'Audi a Imola per preparare il debutto della settimana prossima. Ho fatto tutta la notte in ospedale, all'alba sono tornato a casa. Ho dormito un paio d'ore, Albi (Tebaldi, amico di sempre e amministratore della VR46, ndr) mi è venuto a prendere per andare ai test. Dalle 14 alle 17 sono stato in pista con l'Audi R8 Gt3 e al ritorno, sfinito, sono andato a casa a dormire. Sono tornato in ospedale il sabato mattina, e con Giulietta in braccio abbiamo guardato insieme le prove”.
E che effetto gli ha fatto non esserci? “Nessuno. Ho pensato: «Che culo non essere là in pista». Lo scorso anno tenevo molto a chiudere a Valencia in modo gioioso, e ci sono riuscito. Per cui ora mi ha dato gusto guardare i Gp dal divano. Sono un grande tifoso di moto, mi piace seguirle ovunque. E mi piace fare il tifo per i nostri piloti. Poi in pista c'è mio fratello, ci sono i miei amici. Il momento difficile è stato verso giugno, tra Barcellona e Assen, quando ho deciso di smettere”.
E a chi, oltre a chiedersi perché non l’abbia fatto prima, insinua che non abbia smesso perché non sapeva fare altro Rossi risponde: “Io il futuro l'avevo già costruito da tempo: un'azienda di merchandising, la VR46, un team MotoGP, un'Academy per lanciare nuovi piloti, una pista di proprietà come il Ranch. E questo è stato anche merito delle persone che sono con me da sempre. La carriera è stata lunga e quindi abbiamo avuto tempo per pensare. Quando il mio merchandising era prodotto all'esterno non ci convinceva e ci siamo detti: «Facciamolo noi». E da lì l'abbiamo realizzato anche per altri... I ragazzini appassionati di corse venivano a chiederci aiuto, il primo fu Simoncelli, poi Morbidelli, Migno, poi mio fratello, e aiuta qua e dai una mano là, ho detto: «proviamo a fare una cosa per aiutare i ragazzini italiani». E abbiamo creato l'Academy. Poi sempre per la grande passione per le corse abbiamo provato a fare un team e adesso siamo in MotoGP. Ci serviva una pista per gli allenamenti e abbiamo costruito il Ranch. Avere la propria pista è uno dei sogni di tutti i piloti e noi l'abbiamo realizzato. Quanto a ostinarmi nel correre in moto, l'ho fatto perché ci credevo, perché credevo di poter continuare a vincere e comunque sono stato molto competitivo fino a metà della stagione 2019. Certo non ero più il Valentino Rossi di dieci anni prima, è normale, però ci credevo. Toh, ecco, potevo smettere un anno prima, a fine 2020, poi però il Covid, un anno del cavolo, spesso tre gare sulla stessa pista e che palle senza pubblico, mi son detto «che faccio? Smetto così? No, troppo brutto, dai, faccio un altro anno». Non perché volevo la gente per il mio ritiro, ma perché desideravo lasciare dopo un anno di competizioni vere”.
Lasciare comunque per quelli come Valentino non è semplice: “È difficile da accettare. Io non mi sono arreso fino alla fine. Ma capisci che a quarant' anni non hai più quegli istinti omicidi di quando ne avevi venticinque. Però è stata dura. A un certo punto della mia carriera, una decina di anni fa, mi sono chiesto: smetto quando sono sulla cresta dell'onda e mi ritiro da campione del mondo, o corro fino a quando non ne posso più?” La risposta è stata com’è chiaro la seconda: “Correre è un impegno talmente grande che deve essere supportato dai risultati. Se esci dal motorhome alle otto del mattino e torni alle otto di sera ma parti in prima fila ti dà gusto, se invece parti dodicesimo ti rompi solo i maroni, quindi dopo un po' ti passa la voglia. Questo è successo. Poi per i miei tifosi ho sempre fatto tanto ed ho corso fino allo sfinimento, la mia parte l'ho fatta”.
Un segno l’ha lasciato anche il grande rischio corso nel 2020 in Austria, quando la moto “volante” di Morbidelli l’ha sfiorato: “Mi ha fatto pensare. Già lo sapevo, ma lì ho avuto la riprova che nelle corse non basta stare attenti, che se ti trovi nel momento sbagliato nel posto sbagliato sei fregato. Quello sì, è stato un momento tosto, anche se non mi ha fatto dire «smetto». Anzi, in quelle settimane ho deciso di andare avanti un'altra stagione. Però è stato veramente un incidente pauroso. In sella ho avuto molta paura ma per la moto di Zarco, rimasta relativamente lontana. Ho sentito il rumore della sua moto che si smembrava. La televisione ha appiattito tutto, i rumori, la potenza con cui la moto arrivava, rimbalzando di fianco a Viñales. Io già lì ero terrorizzato ma la moto di Morbidelli, il vero pericolo per me, quella che mi ha sfiorato, non l'ho nemmeno vista. Ho sentito come un'ombra che mi attraversava ma la velocità con cui mi è passata a due dita era mostruosa. È lì che ti dici: «Varrà la pena?». Sono rientrato ai box molto impaurito e lì ho visto i miei meccanici, ricordo in particolare uno di loro, Alex, che singhiozzava. Gli ho detto: «Dai, comunque ero a tre o quattro metri...», e lui: «Ma l'altra moto l'hai vista passare?», e io: «Quale altra?». Sì, quel giorno mi sono giocato il jolly”.
Il ricordo del primo Gp: “Era il 1996, eravamo in Malesia, faceva caldissimo e assieme a Paolo Tessari, che come me correva in 125, andavo in giro per il paddock a rompere le scatole ai piloti giapponesi. Avevo un debole per loro e andavo a molestarli da un box all'altro. Mi sentivo in un villaggio turistico”.
E quello, assai più fresco, dell’ultimo: “Dell'ultimo Gp, a Valencia, ricordo invece il momento in cui sono arrivato con la moto al box. Questa cosa del ritiro è stata difficile da gestire, perché ho ricevuto un sacco di pressioni da fuori, tutti volevano fare delle cose per me, che poi alla fine erano per loro... Io invece avevo già in mente solo il box e avere lì i miei amici e quelli che sono stati i miei compagni in tutti questi anni. Volevano fare i fuochi d'artificio, volevano farmi salire sul podio ma io lì ci salgo solo se finisco nei tre, volevano farmi fermare sul traguardo per darmi un qualche premio, ma ho tenuto duro, ho fatto come volevo io ed è stato indimenticabile”.
Abbiamo visto che Valentino continua ad allenarsi in moto, ma proverà anche una moto del suo team? “Nooooo, non scherziamo. Quando sali su una MotoGP bisogna farlo con un obiettivo perché è una moto brutale che va fortissimo e non ha senso andare al 75%. La MotoGP non mi manca”.