Cosa altro deve succedere in Honda prima di poter dire di aver toccato il fondo e che più giù non c’è davvero niente? E’ la domanda che viene da farsi dopo aver appreso che nei test privati di Jerez il collaudatore Aleix Espargarò, alla sua seconda volta in assoluto su una RC213V, è andato già nettamente più forte dei piloti ufficiali e che, sempre negli stessi test, le Yamaha in particolare, ma anche altre derivate di serie, hanno strappato tempi più bassi di quelli che i piloti Honda hanno fatto con la MotoGP. Basta? Non, non basta perché c’è oggettivamente dell’altro.
Ad esempio c’è che Johann Zarco, da pilota non ufficiale e al suo primo anno con una Honda, ha quasi fatto da solo gli stessi punti di tutti gli altri tre piloti dell’Ala Dorata e si è lasciato abbondantemente alle spalle i due, Luca Marini e Joan Mir, che Honda aveva scelto per la moto ufficiale. E poi ci sono i mal di pancia dei piloti stessi, le vere novità che non arrivano mai dal Giappone e una evidente testardaggine a voler rinnovare una moto che probabilmente più di quello non sarà mai, piuttosto che cestinare il progetto e ripartire da un nuovo prototipo. Tutto vero. Tutto innegabile e oggettivo. Ma forse si dimentica qualcosa che chi è pragmatico come sanno essere pragmatici i giapponesi conosce perfettamente: la morte è il presupposto di ogni resurrezione. Detta così è cinica e spietata, ma sono le esatte parole che servono per vedere sotto una chiave differente tutto ciò che sta succedendo in casa Honda.
E’ solo comprendendo che di vincere e fare tempi stratosferici in questa fase non interessa proprio a nessuno, e meno che mai evitare figuracce o comparazioni con le derivate di serie, che si riesce a riportare il focus sull’unica cosa che conta veramente: il lavoro. In Honda, magari con evidente confusione e insolito smarrimento, ne stanno facendo e anche tanto. A cominciare dalla scelta di rivolgersi a un ingegnere italiano, Romano Albesiano, per guidare un progetto che sarà inevitabilmente nuovo nel metodo e nell’approccio, aspettando che possa esserlo anche in termini più tecnici. E diventa chiaro, quindi, perché Aleix Epargarò, ad esempio, a Jerez sia andato più forte dei piloti titolari nel test privato fatto da Honda: Aleix in questo momento ha un legittimo interesse a emergere in prima persona, non tanto per la gloria, tanto per farsi apprezzare da subito e avere quella credibilità da parte di tutta Honda che è necessaria a un collaudatore che vuole essere ascoltato. Interesse diverso, invece, per Mir, Marini o lo stesso Zarco, che piuttosto hanno interesse a concentrarsi sulle sensazioni, sui minimi miglioramenti che possono percepire, piuttosto che stare a cercare di fermare il cronometro su tempi che in ogni caso, in questo momento, non sarebbero appaganti per loro.
Chi lo ha detto senza troppi giri di parole, proprio ieri a Jerez, è Luca Marini: “Realisticamente ci vorrà un altro mezzo anno”. Significa, in estrema sintesi, che l’impazienza oggi rischia di essere solo una zavorra in più da portarsi sopra una moto che non è performante già di suo e che tutto quello che c’è da fare è continuare a lavorare. E’ chiaro che chi ha già vinto, come Joan Mir, o anche come Johann Zarco, ci riesce con più fatica, ma è chiaro anche che, al di là degli sfoghi estemporanei, tutti sono consapevoli della reale priorità. Così come in Honda sanno benissimo, appunto, che il presupposto di ogni resurrezione è la morte. Anche se “morire”, o comunque toccare il fondo fino a limarsi i denti sull’asfalto, è qualcosa che non farà mai piacere a nessuno.