"Mah, io ho i miei dubbi". Così si narra che Julius Robert Oppenheimer, padre della bomba atomica e prossimo protagonista dell'attisissimo nuovo film di Christopher Nolan, rispose a una telefonata di congratulazioni da parte del Generale Leslie R. Groves, il 6 agosto 1945, subito dopo la distruzione di Hiroshima. Ora, facendo le dovute proporzioni, un simile livello di perplessità sembra attanagliare ancora oggi Andy Hildebrand, l'inventore dell'autotune. A renderlo noto è una docu-serie Netflix dal titolo This is Pop. Nella puntata dedicata alla nascita e allo sviluppo del genere trap, c'è una succosa intervista all'ingegnere elettronico Hildebrand che racconta come, partendo da una specializzazione in sismi ed esplosioni, gli fosse venuta l'idea di creare un software per la correzione vocale. Infine, obbligato all'ascolto di un brano di T-Pain, ossia il rapper che ha dato inizio alle "danze" della trap in USA, ammette: "Non avrei mai pensato che qualcuno sano di mente lo avrebbe utilizzato in questo modo". Nel dissing tra Samuele Bersani e Sfera Ebbasta, dunque, ecco arrivare un nuovo assist a favore del cantautore. Cosa è andato storto con l'autotune nell'opinione di chi lo ha messo al mondo?
L'autotune, spiega Hildebrand, nasce da una chiacchiera. Mentre era a pranzo con un collega, la moglie di costui, con velleità da cantante, gli chiese tra il serio e il faceto: "Ma non puoi inventare un aggeggio che mi faccia sembrare sempre intonata?". La domanda accende la curiosità dell'ingegnere che si rintana subito nel suo studio a fare "qualche equazione". Esperto di sismi ed esplosioni, l'audio era da sempre il suo campo di competenza e la sfida lo sconquifferava assai. Così, dopo qualche settimana di tentativi, dà alla luce un software che decide di chiamare "Auto-Tune". Il suo scopo era quello di "aggiustare" la voce dei cantanti e... funzionava. "I produttori me lo strappavano via dalle mani", racconta Hildebrand, "ma per qualche tempo è rimasto un segreto. Non volevano si sapesse che gli artisti dovessero usare questo "aiutino" per risultare intonati".
L'autotune, per come è stato inventato, aveva anche una utilità strettamente pratica. Un anziano produttore interviene nel documentario per sottolineare come e quanto fosse, comprensibilmente, impossibile per un cantante registrare un disco intero di "buona la prima". Per l'incisione, ci volevano almeno una o due settimane, a seconda dei casi. "Solo David Bowie cantava tutto perfettamente il 95 % delle volte, ma un tale livello di perfezione è rarissimo e nemmeno si può pretendere da un artista". Grazie all'autotune, il tempo di quei sette-quattordici giorni di prove matte e disperatissime, si riducevano a una mezza giornata. E un paio di click. Sicuamente un progresso ma fin da subito Hildebrand si rese conto che qualcosa sarebbe andato storto: "Un importante produttore mi si avvicinò per ringraziarmi. Disse che gli avevo cambiato vita perché con l'autotune non si sarebbe più dovuto preoccupare di trovare gente intonata da mettere sul mercato, gli sarebbero bastati tizi di bell'aspetto". Letteralmente: This is Pop! Ma il "peggio" doveva ancora venire...
Nei primi due anni dalla sua nascita, l'autotune viene considerato dall'industria musicale alla stregua di uno "sporco" (ma utilissimo) segreto del mestiere. Questo finché il producer Mark Taylor, alle prese con il nuovo disco di Cher (!!), decise di giocare un po' col software inventato da Hildebrand. In particolare, un bel giorno settò la "manopola" che regolava velocità e frequenza del cantato sullo zero. Ne uscì un suono metallico, quasi "alieno". Comunque qualcosa di mai sentito prima. "Trovavo che questo effetto si sposasse benissimo con la voce di Cher e decisi di far uscire il brano in quel modo". Era il 1998 e così nacque la hit mondiale "Believe". "Il pezzo salì in cima a tutte le classifiche e furono in molti a chiedere cosa avessimo usato per manipolare il suono del cantato in quella maniera. Ho sempre mentito dicendo che si trattasse semplicemente di un vocoder a pedale. Volevo tenere l'autotune tutto per me, finché possibile", ridacchia ancora oggi Taylor.
Due anni più tardi, arriva il frescone di turno. Faheem Rashad Najm era un aspirante rapper qualunque, ma con ambizioni: voleva sfondare nella scena ma sentiva che per farlo avrebbe dovuto avere una voce "diversa" da tutti gli altri. Solo, non ce l'ha. E non sa come ottenerla. È il 2000 e le radio trasmettono senza posa "If you had my love" di Jennifer Lopez. Nel brano, Faheem si rende ben conto che la voce della cantante sia in parte "naturale" e in altri punti "effettata" in un modo strano, mai sentito prima. Con "Believe" di Cher non era possibile fare la stessa valutazione perché l'intero cantato era uniforme, qui, invece, l'interpolazione risultava evidente. Il nostro comincia a chiedere in giro. Spasmodicamente. Per un anno cracka tutti i software vocali esistenti alla ricerca di "quel" suono. Alla fine, lo trova. Registra i suoi pezzi con l'autotune settato sullo zero et voilà, diventa l'hitmaker T-Pain. Un hitmaker disprezzatissimo dalla scena rap dura e pura dell'epoca.
Sottoposto all'ascolto di un brano di T-Pain, Hildebrand nel documentario ha una reazione stizzita: "Non avrei mai pensato che qualcuno sano di mente avrebbe usato l'autotune in questo modo, non è così che doveva andare". E invece, di riffa o di raffa, è così che va. È così, con la famigerata "manopola" di velocità e frequenza settata sullo zero, che nasce la trap e quel tanto vituperato quanto amato effetto vocale "robotico" che oggi abbiamo fatto il callo di sentire in ogni dove. Jay-Z fu tra i più grandi oppositori di tale "novità", incise perifno un brano intitolato "Death to Auto-Tune" che fu una vera e propria dichiarazione di guerra. A nulla valse, però.
Quando Kanye West ci si "effettò" così un disco intero - 808s & Heartbreak (2008), diede credibilità artistica al neonato "genere". Da lì, grazie a internet, l'autotune arrivò alla portata di chiunque e YouTuber di grande successo partorirono i loro primi video usandolo per fare parodie degli hancormen dei tg. Questo "normalizzò" il suono, lo rese pure divertente. Comunque, qualcosa che tutti i ragazzini avevano voglia di ascoltare. Era fatta.
Da tutto questo controverso fermento creativo statunitense nacque dunque la trap. Genere che poi, qualche anno dopo, venne copiato (pardon, importato) nel resto del mondo, Italia compresa. E di cui oggi subiamo le conseguenze, tra cui il successo di Sfera Ebbasta e gli sghembi tentativi di moltissimi altri che provano a diventare "Famosi" quanto il trapper born in "Ciny".
La trap, sostanzialmente, salta fuori da un fraintendimento. O comunque da un "errore" di utilizzo. Lo stesso, di certo, si può dire di tantissime altre innovazioni, non solo in campo artistico, senza le quali oggi non potremo immaginarci. Se lo stesso valga o meno per il repertorio di Sfera Ebbasta non sta a noi dirlo. In ogni caso, soprattutto in questi riottosi giorni di dissing, il "pentimento" del papà dell'autotune segna un punto a favore di Samuele Bersani e di chi si è fin da subito schierato dalla parte del cantautore. In mancanza d'altro, celebriamo questa piccola, grande "vittoria".