Canta come un cane. Quante volte lo abbiamo sentito dire. Io, personalmente, credo di averlo anche scritto, qualche volta. Tizio canta come un cane, questo senza nulla voler togliere al cantare dei cani, che credo tecnicamente si dica ululare, abbaiare, ringhiare, sicuramente non cantare. Il fatto è, siamo qui del resto, che il mondo animale ci dà a disposizione tutta una serie di comportamenti animali assai pratici, nel momento in cui si tratta di rappresentare in maniera plastica, facilmente decifrabile all’esterno, una determinata situazione. Senti uno che canta particolarmente male, malissimo, e dici che canta come un cane, appunto.
Così come, sempre guardando al mondo animale, se uno è particolarmente cocciuto, ostinato, caparbio, al limite del razionale, si dice che è cocciuto come un mulo, e subito ci viene in mente l’immagine di un mulo che non intende affatto spostarsi dalla propria posizione, posizione fisica, anche se spesso la cocciutaggine del mulo di cui si parla è quella teorica di una qualche persona, il tenere caparbiamente le proprie posizioni, un umano lì di fronte a tirarlo per le briglie, sempre che anche quelle del mulo si chiamino briglie come quelle del cavallo. Cavallo che è invece portatore dell’immaginario della follia, matto come un cavallo, pazzo come un cavallo. E dire che dei cavalli abbiamo sempre sentito dire che sono animali particolarmente intelligenti e sensibili, i più utilizzati per accompagnare nel loro difficile cammino a tanti bambini e ragazzini in difficoltà, leggi alla voce ippoterapia. Quel “matto come un cavallo”, evidentemente, che poi darà nome ai famosi Cavallo Pazzo, capo della tribù dei nativi americani degli Oglala Lakota, il primo, guastatore televisivo che aveva particolarmente a cuore i programmi di Pippo Baudo, il secondo, lì a dimostrare che evidentemente così scontata la follia di un cavallo non è, perché altrimenti sarebbe un ripetere qualcosa già insito in sé, come dire bianco chiaro, o nero scuro, invece no, Cavallo Pazzo, due nomi che uno a fianco all’altro fanno effetto, incutono anche timore. Cavallo pazzo. Matto come un cavallo.
E di esempi del genere se ne potrebbero fare tanti altri, si dà della bestia a qualcuno per insultarlo, si passa al belve quando c’è di mezzo una efferatezza disumana, ma più in generale si usano tanti modi di dire mutuati dalla zoologia. Che so?, cieco come una talpa, le talpe vivono in cunicoli bui e sotterranei, al punto che la talpa presente nelle strisce di Lupo Alberto, fumetto di Silver, appariva sempre con spessi occhiali da sole scuri, lì a dire “Ciao Beppe” proprio al protagonista, che evidentemente non si chiama Beppe. Opposto della talpa è l’aquila, o anche il suo collega falco, usati per indicare chi ha una vista particolarmente acuta. Oppure lento come una lumaca, a muoversi piano piano portandosi dietro la casa e lasciando dietro sé una bella striscia di bava. Forte come un toro, anche qui, si tratti di virilità o di potenza fisica intesa come quella relativa alla massa muscolare, un toro ben incarna quell’ideale lì. Per non dire del maiale, che nella sua variante porco è identificato come uno che mangia troppo, ti sei abbuffato come un porco, o uno che non ha gran cura della propria igiene o di quella dei luoghi che abita, al punto che non da lì arriva il verso sporcare, la sporcizia, lo sporco. Del resto sei un porco intende anche qualcosa che riguardi la sfera della sessualità, vissuta come qualcosa di poco nobile, di morboso, sporco appunto. Nella variante femminile, infatti, non tanto porca quanto troia, che del porco è una versione semantica, nulla a che vedere con Elena e il Cavallo, qui si intende la scrofa da monta, quindi dicendo troia si passa direttamente alla vita libertina, alla prostituzione, l’inciso “porca troia” un rafforzativo affatto inutile (zoccola è invece il topo di fogna, immagino con riferimento anatomico ai peli pubici, esibiti senza vergogna dalle prostitute, ma potrei sbagliarmi, per contro il maschio della zoccola, il topo, spesso indicato a sua volta come di malaffare, il topo d’appartamento è infatti il ladro, è a volte una persona particolarmente studiosa, quando diventa un topo di biblioteca).
Volendo, intendo come volendo proprio lasciarsi andare a insulti sessisti rivolti contro le donne, si può ricorrere anche alla vacca, immagino nello specifico vacca da monta, motivo per cui suppongo poi si parla di corna rispetto a chi a quella monta non ha preso parte pur avendone le credenziali. Sempre animali, comunque. Diciamo che è un avvoltoio di chi è pronto a gettarsi a capofitto su qualcuno in difficoltà, dal momento che il suddetto uccello è solito nutrirsi di cadaveri o di animali agonizzanti. Come diciamo anche delle iene e degli sciacalli, indicando persone senza alcuna remora a comportarsi male, senza morale, sfruttando a loro vantaggio situazioni a noi poco favorevoli, esattamente per i medesimi motivi. Lo squalo, nello specifico, è una iena assai più vorace e crudele, arrivista e senza scrupoli. Quando diamo della serpe, a volte covata in seno, cioè nel nostro giro di affetti o addirittura familiari, parliamo di chi ci striscia alla spalle, pronto a tradirci. A volte, quando la serpe non è poi così pericolosa, ma semplicemente disdicevole, passiamo a un più innocuo verme (che a volte, in natura sempre, è nudo, come capita un po’ a tutti).
Il coniglio ci viene utile per sostantivare qualcuno senza voler usare l’aggettivo vigliacco, ma al tempo stesso coniglio è colui che ha più figli, come me, che ne ho quattro. Sempre pauroso, ma intenzionato a far finta in maniera stupida che non ci sia alcun pericolo è lo struzzo, lì a ficcare la testa sotto la sabbia. Leone, per contro, è chi è particolarmente coraggioso, dotato quindi del Cuor di Leone. La tigre, che sicuramente è a sua volta coraggiosa, viene tirata in ballo quando serve la cosiddetta cazzimma, una sorta di scorta in eccesso di forza di volontà, di attitudine a raggiungere un risultato, difficile d’ora in poi non pensare all’espressione “occhio di tigre”, un tempo associata alla nota canzone Eye of the tiger dei Survivor contenuto nella colonna sonora di Rocky di Sylvester Stallone, quarant’anni portati con stile, senza ritrovarsi a pensare alla faccia di Enrico Letta, pronto a prendere una tranvata in faccia alle elezioni nazionali, le prime vinte da Fratelli di Italia di Giorgia Meloni. Il coccodrillo, che in realtà non prova rimorsi, è quello delle famose lacrime, nel suo caso emesse per ripulire gli occhi da scorie, nel nostro frutto di ripensamenti radicali, queste sì che assoceremmo con piacere a Letta, che invece nonostante tutto si mostra ancora gagliardo come un Giaguaro. Piange spesso, ma senza motivi altrettanto deprecabili il vitello, se a piangere è l’agnello si scivola dalle parti di Hannibal Lecter. Pidocchi e pulci se la giocano al photofinish, i primi sono coloro che sono tirchi, se sono pidocchi rifatti sono degli arricchiti a cui manca la signorilità, le pulci saltano all’orecchio nel momento in cui qualcuno ci istilla un qualche dubbio, la pulce di suo una persona piccola di statura.
Quando abbiamo molto appetito abbiamo una fame da lupo o un bufalo, mentre la bufala è sinonimo ormai di falsità, le bufale sarebbero le tanto alla moda fake news, quando mangiamo poco lo facciamo come un uccellino, quando abbiamo bevuto molto lo abbiamo fatto come un cammello, quando abbiamo dormito molto lo abbiamo fatto come un ghiro, chi è furbo è furbo come una faina, a volte come una volpe. Se mangiamo molto ma rimaniamo magri, si fa per dire, siamo come delle acciughe. Se siamo agili siamo delle anguille, se saltiamo tanto siamo dei grilli, da Pinocchio in poi anche sinonimo di saggezza affiancata a parlantina. E dire che avere grilli per la testa vuol dire farsi strane fantasie, tutto fuorché essere saggi. Quando ripetiamo qualcosa senza metterci del nostro facciamo i pappagalli, se abbiamo grandi capacità di adattamento siamo dei camaleonti, alla Zelig di Woody Allen, mentre quando siamo particolarmente poco svegli siamo degli allocchi, dei merli, o scendendo dal cielo al mare, come dei baccalà. L’uccello, come specie, è spesso usata sul fronte sessuale, a partire proprio dal termine stesso usato per indicare il pene, cui fa da contraltare la passera, per indicare le pudenda femminili. A volte invece dell’uccello si usa pesce, anche se dire che qualcuno è un pesce grosso non ha connotazioni sessuali, quanto piuttosto sociali o lavorative. Il pesce è animale di suo muto, sano, facilmente identificabile, al punto che se non si è né carne né pesce non si è definiti e definibili, il pesce è uno che si butta in situazioni specifiche con tutto se stesso, e quando non sappiamo che pesce prendere significa che siamo sprovvisti di soluzioni utili, se invece i pesci li prendiamo in faccia vuol dire che ci hanno trattato particolarmente male, così come quando ci troviamo come un pesce fuor d’acqua vogliamo sottolineare il nostro sentirci a disagio, fuori contesto.
Tornando agli uccelli, però, non so esattamente a che uccello, ma immagino a un gufo, si guarda parlando di uccello del malaugurio, del resto il verbo gufare indica ormai colloquialmente il portare sfiga, tirarla dietro qualcuno. L’allodola non è mai usata per indicare una persona, ma si parla dello specchietto che la attira per sottintendere qualcosa di effimero, pronto a farci capitolare senza un motivo valido. L’oca, che in realtà è animale aggressivo, nota la faccenda del Campidoglio, viene usata per dire di qualcuna che è frivola, e anche poco arguta, se giuliva magari semplicemente spensierata, anche se poi quando abbiamo la pelle d’oca stiamo provando emozioni forti, dalla paura alla commozione, questo senza togliere che dire a qualcuna che è un’oca è darle della sciocca, ma mai come quando qualcuna si dice che è una gallina, proprio stupida e basta in quanto in possesso del cervello da gallina. La gallina è tirata per la giacchetta, immagino fatta di penne e piume, quando qualcuno urla o grida, per non dire delle zampe di gallina, le rughe che contornano gli occhi, l’andare a letto con le galline, la fantomatica gallina dalle uova d’oro e la gallina padovana, cioè colei che è sempre in giro, senza sosta. Il galletto è un tipo spavaldo, convinto del proprio sex appeal, mentre il pollo, che ho proprio recentemente scoperto non essere un gallo poco virile, ma una gallina che ancora non è in grado di deporre le uova, è qualcuno facilmente abbindolabile, un coglione, in pratica. Pulcini e più in generale cuccioli sono persone fragili, coccolose, da abbracciare, facendo attenzione che il pulcino non sia un pulcino bagnato, ovviamente.
La pecora, che ha tutto un suo immaginario anche in campo sessuale, è l’animale che incarna la poca personalità, quindi lo stare appresso agli altri, nel gregge, così come il bue, che viene visto come un animale votato a subire in quanto credulone, il famoso popolo bue. L’agnello è, anche nella religione cristiana, qualcuno di puro, immacolato come il suo manto. Se siamo caduti in errore, clamoroso, abbiamo preso un granchio, al limite preso lucciole per lanterne. La mosca, a proposito di insetti, è una delle più inflazionate nei nostri modi di dire. Dalla mosca bianca che indica una persona particolarmente originale, unica, la cui variante negativa è la pecora nera, per altro, al non far male a una mosca, passando per il non si sente una mosca e il restare con un pugno di mosche in mano. Credo sia colpa di Esopo o chi per lui, ma la formica è una persona che lavora duramente, mettendo con senno da parte scorte per i tempi duri, mentre la cicala è chi non si preoccupa del domani, facendo poi la fine che si sa (”La cicala“ volendo ha anche una connotazione sessuale, si veda al film omonimo di Alberto Lattuada con una conturbante Clio Goldsmith, anche se pure la lucciola va bene per l’occasione, immagino per i fuochi che in certe zone scaldano le prostitute in attesa di clienti in strada). Dalle mie parti, ma immagino ci siano variazioni locali per tutta una serie di animali e modi di dire, si dice di qualcuno che sia sempliciotto e poco sveglio che è un ciambotto, intendendo con questo quella tipologia di rospo particolarmente grosso, quasi obeso, che neanche riesce a saltare.
Il rospo, di suo, viene ingoiato quando c’è qualcosa che dobbiamo mandare giù controvoglia, sputato quando si viene costretti a dire qualcosa che non si sarebbe dovuto dire. Asino è colui che va male a scuola, anche nella variante partenopea ciuccio, e in questo Collodi con Pinocchio ci ha messo del suo, mentre più recentemente Vittorio Sgarbi ha elevato a meme il termine capra, indicatore non tanto di chi è cocciuto, come accadeva un tempo, quanto piuttosto chi è ottuso e ignorante: capra, capra, capra. Del riccio, elevato al ruolo di portatore sano dei principi dell’eleganza dal romanzo di Muriel Burbery, si è sempre detto che scopa molto, anche forsennatamente. Ignoro il motivo di questa fama, ma da riccio, di capelli, prendo per buona questa informazione. Il gatto è riconosciuto come animale che evidentemente vive circondato da suoi simili, immagino quelli di film quali gli Aristogatti o che in certe città, non Milano, vivono accuditi dalle gattare, al punto che se si è in pochi si dice “eravamo quattro gatti!”. Nonostante sia uno dei due animali che più spesso si trovano a abitare le nostre case, con i cani, il gatto non nutre della medesima stima, sembrerebbe. La gattamorta, invece, è una persona che tiene nascosto il suo reale modo di essere. Infatti se qualcosa non torna si dice “qui gatta ci cova” e se ci sono problemi c’è una “gatta da pelare”.
A dirla tutta, forse neanche il cane è poi così ben visto. Il cane, da lì eravamo partiti, non so quanti animali fa, oltre a non saper affatto cantare, chiunque viva in un palazzo dove c’è uno degli amici a quattro zampe, fedeli nei secoli come i carabinieri, lasciato solo tutto il giorno, lo sentirà semmai lamentare, piangere, ma sicuramente non cantare, tornando al cane di lui si dice che è solo, “è solo come un cane” (fino all’estremo “è morto solo come un cane”) è una sorta di lettera scarlatta con cui indichiamo qualcuno isolato, senza amici e affetti intorno, questo nonostante il cane sia in natura animale propenso al branco, perché non sempre i modi di dire mutuati dal mondo animale sono così precisi come potremmo essere indotti a pensare. Il cane è però talmente tanto vicino all’uomo, si dice di lui sia il migliore amico di, che è finito, suo malgrado, in un sacco di modi di dire, dal “che tempo da cani” o “che vita da cani”, usato quando ci sono temporali, reali o metaforici, all’essere un underdog, cioè un perdente detto da chi la sua lunga, all’essere un cane sciolto, di chi, appunto, non vive in branco, alla faccia dell’essere soli come un cane. Mica è un caso che l’uomo può essere lupo per l’uomo, ma il cane non mangia cane, e con questo, credo, ho davvero sciorinato lo sciorinabile, Esopo suca, Gerard Durrell pure. Resta che il cane non sa cantare, e che se di qualcuno diciamo, magari in maniera poco delicata, ma comunque precisa, stringente, che canta come un cane, intendiamo dire che è stonato, che non sa fare un uso adeguato della voce, che, insomma, canta male quanto canterebbe male un cane.
L’ho presa un po’ lunga, ma era per dimostrare che non volevo essere semplicemente tranchant, che ero sì duro, ma cum grano salis, che, insomma, ricorrevo al mondo animale, ma consapevole che da che mondo è mondo è proprio a quel mondo che si guarda per raccontare il mondo in maniera facilmente decifrabile per chiunque, l’ho presa lunga ma se penso a come canta Sfera Ebbasta senza autotune, il video lo avete visto tutti, come tutti avrete letto della boutade di Samuele Bersani, uno che cantare sa cantare, e anche bene, e scrivere sa scrivere, benissimo, ecco, se penso a come canta Sfera Ebbasta senza autotune, volendo anche con l’autotune, ma lì si potrebbe finire nel campo del gusto personale, il boomerismo, quelle cose lì, ecco, se penso a come canta Sfera Ebbasta senza autotune mi viene da dire che Sfera Ebbasta senza autotune canta proprio come un cane, detto così, senza menare il can per l’aia.