Caro Stato, quanto è bonus Lei (in cultura). Il “bonus cultura”, 500 pubblici eurini freschi a disposizione di ogni diciottenne, è il benvenuto alla maggiore età in formato digitale (“App18”) ideato dal governo di centrosinistra di Matteo Renzi nel 2016. Quello attuale, di destra-destra capeggiato da Giorgia Meloni, con un emendamento mezzo cassato e semi-ritirato voleva riformarlo per dirottare parte dei fondi su altro (tipo l’imprescindibile rievocazione della “Girandola” a Roma). In ogni caso, il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano vuole rivederlo affinché, sostiene, “diventi realmente una modalità di consumi culturali per i giovani orientandoli alla lettura di libri, alla visita di mostre, ai corsi di lingua e alla musica”. Messa così verrebbe da dire all’ex direttore del Tg2, certamente informatissimo ma non, evidentemente, su tutto tutto, di darsi una letta ai dati prima di parlare: lo scorso anno, due terzi degli acquisti sono consistiti in libri; al secondo posto, per un quarto abbondante, si trovano concerti e musica (streaming, vinili, cd); quanto al resto, se lo dividono cinema, corsi di lingua straniera e, buoni ultimi, festival culturali e musei.
Federico Mollicone, responsabile cultura di Fratelli d’Italia, lo considera un “totem” e intende eliminare le “storture”. Forse si riferisce alle truffe già acquisite alla cronaca giudiziaria: per esempio, ragazzi in combutta con esercenti fraudolenti che si comprano pc e tablet, merci fuori catalogo, anziché biglietti del teatro e opere letterarie (e ci sarebbe da aggiungere al conto anche le micro-truffe: sbarbatelli che riescono pure a fare la cresta e comprarci il fumo). Di sicuro, poi, la Meloni ha il vitale bisogno di grattare dané da ogni possibile interstizio di bilancio per dare un po’ di consistenza a quei miseri spazi di manovra concessi dall’Ue nell’annuale via crucis finanziaria. Se non fossero schei nostri, potremmo liquidare la cosa sotto la voce degli ordinari pretesti. Quisquilie, pinzillacchere. La faccenda, però, è un po’ più seria, poiché investe in pieno un temone riassumibile nella seguente domanda: che cosa si intende per cultura?
Sono cultura “Teatro d’ira” dei Maneskin, o “Blu Celeste” di Blanco, fra i primi album più acquistati nel 2021 su Amazon (che prontamente aprì sei anni fa una sezione apposita sul bonus)? È cultura la saga di Harry Potter, inschiodabile nel suo primato tra i film per chi aspetta ancora il regalo di Babbo Natale sotto l’albero? Con i libri pare già andare meglio: primo in classifica sarebbe “La canzone di Achille” di Madeline Miller, storia dell’amore omo fra l’eroe greco per eccellenza e il suo Patroclo. Ma ci assale la morbosa curiosità di sapere quante copie macinerà “Amioe. Manuale di cörsivœ” della 19enne Elisa Esposito: per alcuni è già carta da cult, e a noi un brivido corre lungo la schiena. Nel frattempo, è acquistabile l'imperdibile ultimo capolavoro di Soleil Sorge, la professionista dei reality. Quanto ai concerti, vai tu a capire se sia definibile come culturale un’esibizione di Vasco Rossi o di Ultimo, o il festone di Capodanno a Roma con la sexy dinner di Rocco Siffredi, la doppia libidine coi fiocchi della cena-spettacolo di Jerry Calà, nonché - rullo di tamburi - la presenza dell’artista più ascoltato quest’anno su Spotify, Sferaebbasta.
Sì, sì, sappiamo che la diatriba sul significato più o meno estensivo di cultura è vecchia come il cucco, e la cultura di massa ha liquefatto e assorbito ogni differenziazione, abolendo la gerarchia pedagogica fra alto e basso. Pur tuttavia, ci sia permessa un’osservazione: se cultura vuol dire, almeno etimologicamente, coltivarsi, e non distrarsi come invece è l’etimo di divertimento, allora da un governo di destra tout court, con un ministro dell’istruzione come Giuseppe Valditara che mira a rovesciare “il distorto approccio culturale della liberazione da ogni limite” (Libero, 12 dicembre 2022), ci aspetteremmo l’audacia di decisioni se non irrevocabili - che portano jella - quanto meno ardite. Lorsignori puntano a totalizzare i consumi dei neo-maggiorenni su opzioni autenticamente impegnate, e non a finanziarsi la seratona sotto il palco ipnotizzati dalle mutande di Damiano? Facciano una lista dei nomi di eventi, istituzioni e prodotti ammessi, escludendo tutti gli altri dal possibile acquisto.
Dice: ma sarebbe una riedizione dell’Indice medievale delle opere proibite, massimo orrore per un moderno liberale. Ma perché, scusate, a scuola non funziona ancora con i prof che forniscono il perimetro degli argomenti da studiare, facendo un’obbligatoria cernita? Così come acculturarsi, non equivale forse a faticare su materie e autori di cui si riconoscerà magari l’utilità per la propria vita dopo anni, a volte parecchi, e intanto si smadonna e si fatica? Se tutto è kultura purchè comunichi qualcosa a gusto e arbitrio personale, allora facciamo prima ad abolire le scuole. Alle somme: lasciato così, il bonus è a rischio d’incultura, un contentino, il solito meglio-di-niente. Siano coerenti, i valorosi paladini del “merito” da ripristinare: diano un bel giro di chiavarda, fissino paletti, impongano limiti. Oppure lo sopprimano del tutto e girino quei 230 milioni annui di bonus, tutti e per intero, alla scuola. Una goccia per la sete di sapere, ma comunque meglio degli zuccherini consumistici per abbuonarsi la coscienza (e raccattare qualche voto in fascia giovanile).