Il libro di Borja Valero (edito da Rizzoli e scritto col giornalista Benedetto Ferrara) si apre con un’immagine romantica di lui che va in motorino agli allenamenti della sua nuova squadra. Una cosa vietatissima nei campionati delle massime serie. Oggi invece, come un normale adolescente che dopo scuola mangia di corsa e poi scappa al campetto, si rilassa mentre guida ripensando al calcio che è stato e a quello che sarà: un calcio diverso fatto dalle persone e per le persone.
Com’è la nuova vita di Borja Valero?
Credo di poter dire che la mia vita, chiuso con il calcio professionistico, sia normale. Passo più tempo con i miei bambini e con mia moglie e grazie al Centro Storico Lebowski ho la possibilità di mantenere viva la parte più importante del calcio, quella passionale e romantica. Come facevo da bambino.
Cos’è il Centro Storico Lebowski e perché lo hai scelto per la seconda parte della tua vita?
Qui si gioca a calcio, ma non è soltanto sport. Si tratta di una bellissima storia di integrazione e di aiuto al territorio e alle persone. Nel libro si capisce il mio background, chi sono e da dove vengo… facile quindi anche capire perché io e il Centro ci siamo scelti per questa avventura insieme.
Io quando sono entrato in contatto per la prima volta con il Centro Storico Lebowski non sapevo dove mi trovavo e per spiegarmelo chi era con me usò la parola “famiglia”.
È vero. Famiglia è una parola che scorre nelle vene del Centro e che sentirai spesso se vai da quelle parti. Qui c’è posto per tutti, le porte sono aperte e tutti vengono accolti.
Forse è qui che hai capito il senso di “Un altro calcio” che poi è il titolo del tuo libro?
Un altro calcio sono tante cose in questo libro. Credo che la parte principale sia nell’atipica semplicità con cui io vivo e ho vissuto il calcio professionistico, con quella normalità che è impossibile oggi trovare nelle massime serie. E poi certamente c’è il Lebowski con tutte le storie che porta avanti.
Credi di aver portato un valore aggiunto al Centro?
Da quando ci sono io magari lo conoscono più persone ed era in effetti uno dei miei obiettivi, ma è da tanto che loro lavorano sul territorio per realizzare progetti e aiutare le persone. Sostengono da anni che un altro calcio sia possibile e io sono felice di dare il mio contributo.
Ma giocando in Promozione senti comunque la rabbia agonistica?
(Ride ndr) Non riesco a non viverla in quel modo. È parte di me e quando l’arbitro fischia l’inizio io mi concentro per dare il massimo e vincere. Quindi mi arrabbio, combatto e litigo. Poi alla fine ci si abbraccia, si scherza e ci si saluta.
E prima invece?
Prima tutto ruotava attorno al risultato. Solo e soltanto quello. Adesso è un’altra storia.
Un’altra storia, ma una storia vera…
Assolutamente. Essere professionisti o meno conta il giusto
C’è un’immagine, anzi un profumo, nel tuo libro che dice tanto del calcio di periferia. Il profumo di bagnoschiuma e umidità dentro gli spogliatoi. Se il calcio fosse un profumo sarebbe quello…
Anche se tutti non arrivano a giocare in Serie A, tutti sono passati per il calcio di provincia quello che – come scrivo nel libro – profuma di bagno schiuma, umidità e gomma delle ciabatte.
E in Serie A che profumo si sente?
Di certo non quello di umidità e misto di tanti bagnoschiuma diversi. È un altro mondo totalmente diverso che non ha nulla a che vedere con gli spogliatoi piccoli, rotti e umidi.
Dici che Firenze è la città della vita… una città dove ti conoscono come il Sindaco. Che significa per te?
È casa mia a tutti gli effetti. Potevo andare davvero ovunque nel mondo, ma ho scelto Firenze per il modo di vivere e intendere la vita che hanno le persone di qui.
Fa sorridere che al tuo arrivo Montella non sapeva nemmeno chi fossi… Un inizio difficile quello in viola?
Tutti gli inizi sono difficili. In particolare quell’anno si stava ricostruendo da zero una squadra, ma per fortuna è andata bene e se non fosse stato così oggi magari sarei altrove.
E invece è lì che dovevi essere. Destino?
Non credo nel destino altrimenti non avrebbe senso dare peso al proprio lavoro e alle decisioni. Ma ho avuto la fortuna che tutto sia andato nel verso giusto e di ritrovarmi in un posto dove mi sentivo al 100% a mio agio.
Scrivi che Fiorentina – Juve 4-2 è una delle partite più assurde della tua vita.
Confermo. Per un fiorentino battere la Juve è la cosa che conta di più in assoluto e quel giorno fu pazzesco. Eravamo sotto due a zero a fine prime tempo e poi ci fu la rimonta. Se ripenso agli occhi dei tifosi quel giorno ho ancora la pelle d’oca.
Ormai è passato un anno dal tuo cambio di vita. Continui ad andare al campo del Lebowski in motorino?
Certo! Prima era tragitto più lungo, ma adesso mi sono trasferito. Se è bel tempo prendo lo scooter e mi rilasso pensando a quello che sta per succedere al campo. Pochi minuti di tranquillità, prima che accada qualcosa di bellissimo. Un breve momento che mi piace tenere soltanto per me.